martedì 12 dicembre 2023
La denuncia dei sindacati sull'eliminazione della clausola di salvaguardia che tutela i lavoratori. «Per le famiglie il rischio di essere contattate da venditori senza scrupoli»
Il mercato libero dell’energia mette a rischio 2.000 posti nei call center

STEFAN ZAKLIN

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La fine del mercato tutelato dell’energia avrà ripercussioni pesanti in termini occupazionali. I sindacati parlano di duemila posti di lavoro a rischio nel settore elettrico e nei servizi correlati, a partire dagli addetti ai call center. «Lavoratori trattati da autentici invisibili da parte del governo. Un’operazione che getterà 10 milioni di famiglie in pasto ad una pletora di venditori senza scrupoli per i quali la liberalizzazione sarà l’affare del secolo. Si entrerà in una giungla dove si rischia di vedere legalizzate vere e proprie truffe» affermano Ilvo Sorrentino, Amedeo Testa, Marco Pantò, segretari della della Filctem Cgil, Flaei Cisl e Uiltec Uil. La liberalizzazione non sarà a costo zero per le famiglie ma a preoccupare è soprattutto l’impatto che la fine del sistema misto, fissata a gennaio per il gas e ad aprile per l’elettricità, avrà sui servizi correlati, ad esempio le società di call center che danno informazioni ai clienti.

«Il governo ha fatto sparire dal decreto legge Energia l’articolo 26 che prevedeva la clausola di salvaguardia» spiega Armando Faraoni, segretario generale Fistel Cisl. Una “norma di dignità” senza la quale 1.500 lavoratori sono nei call center si troveranno senza stipendio. A Taranto la società, Covisian che ha più di 4.300 dipendenti sparsi in undici sedi, ha messo in cassa integrazione a zero ore oltre 200 persone che lavorano proprio nei servizi alla clientela del mercato tutelato. E potrebbe essere solo il primo di un’ondata di esuberi. «Si tratta di lavoratori poveri con stipendi tra gli 800 e i 1.000 euro, spesso con contratti part-time per i quali c’è inoltre un forte rischio di dumping visto che non tutte le aziende applicano il contratto delle telecomunicazioni» aggiunge Faraoni. Il mondo dei call center è già da tempo sotto pressione: le gare al massimo ribasso e i ritardi nei pagamenti hanno messo in difficoltà le aziende che hanno tagliato i dipendenti. Si tratta di un settore in cui lavorano oggi circa 70 mila persone, 50mila solo nel settore inbound, cioè quelli ai quali il cliente si rivolge per ricevere informazioni oppure assistenza telefonica.

Nel 2006 una circolare impose alle aziende di assumerli ma nel momento in cui i committenti cominciarono a pubblicare bandi di gara a costi molto ridotti iniziò il declino. Molti lavoratori furono messi in cassa integrazione e ci furono anche licenziamenti, ad esempio Almaviva licenziò nel 2016 più di 1600 persone a Roma in una sola notte, uno dei licenziamenti più corposi degli ultimi decenni. Proprio dopo questo episodio fu introdotta la clausola sociale che prevede, nel caso in cui il committente decida di cambiare gestore di call center, che il nuovo gestore assuma gli operatori che lavoravano al precedente appalto. Le aziende committenti hanno cercato di eludere il rispetto della clausola di salvaguardia in diversi modi. Una delle trattative più importanti ha riguardato Ita Airways che si rifiutava di assumere gli oltre 500 dipendenti del call center Alitalia. Negli ultimi dieci anni le aziende hanno investito sui servizi di assistenza clienti gestiti da chatbot, ovvero software che simulano le conversazioni umane rispondendo alle richieste delle persone. I servizi offerti via app sono sempre più efficienti e rapidi e soprattutto più economici.

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