sabato 23 dicembre 2023
Il tentativo dei colossi è quello di spingere molti utenti verso sottoscrizioni con gli spot. Obiettivo duplice: garantirsi maggiori entrate e diminuire le disdette
Lo streaming, secondo dati Nielsen, ha raggiunto ormai circa il 35% degli ascolti, con un totale di 9,3 miliardi di dollari spesi in abbonamenti nel terzo trimestre 2023 rispetto ai 7,7 miliardi di un anno prima, con un aumento del 20,7%.

Lo streaming, secondo dati Nielsen, ha raggiunto ormai circa il 35% degli ascolti, con un totale di 9,3 miliardi di dollari spesi in abbonamenti nel terzo trimestre 2023 rispetto ai 7,7 miliardi di un anno prima, con un aumento del 20,7%.

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Aumentare i prezzi per spingere i propri utenti a scegliere abbonamenti meno costosi. Un controsenso? Non proprio, forse una strategia, se di mezzo ci sono la pubblicità e il suo flusso di denaro, in grado di rinvigorire le casse dell’industria dello streaming anche più delle “subscriptions”, i semplici abbonamenti appunto, che per tenere su quell’industria, da soli, non bastano più.

È l’era degli “ad-supported tier”, gli abbonamenti sostenuti dalla pubblicità, il nuovo West verso cui i vari Netflix, Disney+, YouTube Tv e compagnia si sono fiondati, convinti che, scoppiata la bolla del 2022, il binomio abbonamento-streaming abbia bisogno di altro. Così, se c’è stato un tempo, nemmeno troppo lontano, in cui lo streaming prometteva una rivoluzionaria esperienza televisiva – zero pubblicità, prezzi bassi e contenuti sempre meglio prodotti e sempre più accessibili – quel tempo, appunto, sembra già finito per far spazio a qualcos’altro.

Il mese scorso, nel primo anniversario dal debutto del suo abbonamento con pubblicità, Netflix ha indicato che il servizio conta ormai su 15 milioni di utenti attivi mensili, il triplo rispetto al dato diffuso lo scorso maggio. Eliminato a ottobre il Piano Base (da 7,99 euro al mese), il Piano Standard con pubblicità (a 5,49 euro) costa ora meno della metà rispetto allo Standard senza pubblicità (12,99) e meno di un terzo rispetto a quello Premium (17,99). Una diversificazione che si trova anche su Disney+, appena passata da uno a tre piani, dal primo a 5,99 euro mensili fino al top del servizio premium da 11,99 mensili. Discovery+ va invece dai 2,89 euro mensili dell’abbonamento senza spot ai 5,49 di quello con pubblicità.

Tra il 2022 e il 2023 gli aumenti dei costi degli abbonamenti ai servizi di streaming sono stati una costante e anche tra i motivi che hanno spinto molti utenti alle disdette. Tra luglio 2022 e giugno 2023, stando ai dati di perfectrec.com, circa un terzo degli utenti negli Usa ha disdetto il proprio abbonamento a Netflix, anche a causa della campagna sui social seguita alla decisione della società di agire in maniera più energica contro la condivisione delle password. Un tasso di abbandono molto alto ma che è addirittura contenuto rispetto a quello di altri rivali, che hanno disdette sopra al 50% di tasso annuale. Disney+, che ha avuto come tutti una rapida crescita durante la pandemia di Covid, ha un tasso di disdetta annuale del 44,8%, Discovery+ ed Apple Tv+ sono oltre il 54%, Paramount+ al 55,9%.

In maniera abbastanza rapida, le nuove piattaforme si sono trovate con sempre minori introiti da investire anche per la produzione di contenuti originali, il pezzo forte del loro menu. Il ritorno ad una tv fatta (anche) di spot pubblicitari è stata, per queste realtà, la soluzione più logica, più immediata, più redditizia. Gli ulteriori aumenti di prezzo si sono così riversati, soprattutto, sugli abbonamenti senza spot (da 20 a 23 dollari mensili negli Usa per Netflix), sia per identificarli maggiormente come servizi premium per i cosiddetti “altospendenti” (termine che forse un giorno si riuscirà ad abolire), sia per spingere sempre più utenti ad abbracciare le sottoscrizioni con pubblicità. Queste ultime sono, in particolare, ultra redditizie per i ricavi che le aziende inserzioniste possono garantire, nella sfida a suon di milioni per accaparrarsi spazi su piattaforme considerate innovative rispetto alla vecchia tv.

La strategia ha anche garantito un allargamento della base di abbonamenti: nel terzo trimestre di quest’anno, Netflix ha ad esempio goduto di una crescita globale di 8,7 milioni di sottoscrizioni (ha raggiunto la quota totale di 247 milioni di utenti, circa 9 milioni in Italia) e di un aumento del 70% di quelle con pubblicità rispetto al secondo trimestre 2023. I piani con pubblicità, per Netflix, sono ormai il 30% nei Paesi in cui la strategia è già stata adottata, «e c’è ancora più lavoro da fare per aumentare questo business», sottolinea la società. Netflix ha detto di recente di aspettarsi un flusso di cassa disponibile per l’intero 2023 di circa 6,5 miliardi di dollari, in deciso aumento rispetto agli 1,6 miliardi del 2022.

La nuova strategia, insomma, sembra funzionare. Altra tendenza comune, nel settore, è quella di tagliare i costi sui contenuti. Max, piattaforma di streaming di Warner Bros, ha eliminato dal suo catalogo serie come Westworld e film per 390 titoli, il 15%, nel giro di un anno, secondo Indie Wire. Questo ha consentito alla multinazionale Usa di ridurre significativamente le perdite nonostante il calo, tra aprile e giugno di quest’anno, di 1,8 milioni di abbonamenti. Anche altre potenze come Disney, Comcast e Paramount hanno riferito di un miglioramento dei rispettivi bilanci.

Secondo alcuni analisti, questo mix di alti tassi di disdette, intensa concorrenza e strategie di investimento sui contenuti più caute potrebbe essere interpretato come la conferma che quella dello streaming sta diventando un'industria matura con un potenziale di crescita più limitato rispetto al passato. Ciononostante, mentre la Tv tradizionale negli Usa ha fatto registrare lo scorso luglio complessivamente uno share inferiore al 50%, lo streaming, secondo dati Nielsen, ha raggiunto ormai circa il 35% degli ascolti, con un totale di 9,3 miliardi di dollari spesi in abbonamenti nel terzo trimestre 2023 rispetto ai 7,7 miliardi di un anno prima, con un aumento del 20,7%.

Le nuove previsioni di GlobalData, almeno per il mercato americano, ma la tendenza appare mondiale, suggeriscono parallelamente l’ulteriore declino delle pay tv tradizionali: nel 2028 saranno presenti solo nel 32% delle case Usa, rispetto al 42% di oggi e all’85% di tasso di penetrazione di un quindicennio fa. L’ulteriore indirizzamento degli inserzionisti pubblicitari verso le piattaforme di streaming rischia di accelerare ancora una tendenza già più che evidente. Il mondo, anche nell’intrattenimento televisivo, cambia a velocità un tempo impensabili.

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