sabato 16 dicembre 2023
Mentre la compagnia di bandiera annuncia uno scalo da 5 miliardi di dollari, Addis Abeba ha mancato il pagamento di 33 milioni del suo debito esterno. Fitch abbassa il rating sovrano a "spazzatura"
La compagnia aerea di Stato negli ultimi anni ha fatto da bancomat per attirare investimenti stranieri in Etiopia

La compagnia aerea di Stato negli ultimi anni ha fatto da bancomat per attirare investimenti stranieri in Etiopia - Archivio

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Può un Paese fallire per un debito da 33 milioni di dollari, negli stessi giorni in cui la compagnia aerea controllata dal governo dello stesso Paese annuncia la costruzione di un nuovo aeroporto da 5 miliardi di dollari per 100 milioni di passeggeri l’anno? Benvenuti nell’esemplare caso della crisi del debito, quella che coinvolge pressoché tutti gli Stati fragili del mondo, tanto da aver suscitato un nuovo allarme, appena mercoledì, da parte della Banca mondiale. Il “canarino nella miniera”, come lo ha definito la stessa Banca, è l’Etiopia, una delle principali economie e Paese più popoloso del continente africano con oltre 100 milioni di abitanti, un Paese uscito negli scorsi mesi dalla disastrosa guerra nel Tigray e guidato da un premio Nobel per la pace, Abiy Ahmed, che silenzia critici e oppositori.

Lunedì Addis Abeba avrebbe dovuto rimborsare interessi per 33 milioni di dollari su un suo eurobond da 1 miliardo di dollari in scadenza nel dicembre 2024, ma ha ammesso di non avere sufficienti fondi per farlo. Un’ammissione che ha portato Fitch ad annunciare già il downgrade del rating sovrano etiope in territorio “titolo spazzatura” e a far scattare un’allerta nelle istituzioni finanziarie internazionali. Passate le due settimane del cosiddetto “periodo di grazia”, per l’Etiopia sarà default, diciannovesimo caso in 10 diversi Paesi negli ultimi tre anni (tra questi, Zambia, Ghana e Sri Lanka), un numero maggiore rispetto a quanto si fosse verificato negli ultimi due decenni.

Secondo gli ultimi dati di Banca mondiale, ripagare il debito – interessi inclusi – è costato ai 75 Paesi più poveri circa 88,9 miliardi di dollari nel solo 2022, una cifra che ci si aspetta dovrebbe ulteriormente aumentare di circa il 40% nel biennio 2023-2024, anche a causa dell’aumento dei tassi di interesse, andando a drenare risorse che potrebbero essere invece dirette a servizi di base come la sanità, l’educazione e l’adattamento al cambiamento climatico. Per questi Paesi, i soli interessi sul debito sono quadruplicati dal 2012 fino a 23,6 miliardi di dollari. Per l’Etiopia l’ora della verità sembra essere già arrivata. «L’Etiopia sarebbe il Paese più grande a dichiarare default, è come il canarino nella miniera di carbone», ha sottolineato Indermit Gill, capo economista di Banca mondiale, che ha sollecitato «un’azione rapida e coordinata» da parte istituzioni internazionali, creditori pubblici e privati e Paesi debitori per migliorare la trasparenza, la sostenibilità e velocizzare le ristrutturazioni del debito.

Inflazione oltre il 25 per cento e scarsità di valuta straniera caratterizzano l’attuale stato dell’economia etiope, che fatica a riprendersi dai due anni di guerra contro le forze locali nella regione settentrionale del Tigray. Già a inizio 2021, Addis Abeba aveva chiesto la sospensione del debito all’interno del “Common framework”, l’iniziativa approvata nel novembre 2020 dal G20 e dal Club di Parigi per portare anche Paesi come Cina, India e altri creditori bilaterali all’interno di un percorso comune su questo fronte. Un’iniziativa che però, ad oggi, non è stata in grado di risolvere alcuna crisi del debito anche per la rigidità della Cina stessa e che, nel caso etiope, è stata ritardata anche a causa della guerra.

I colloqui intavolati nelle ultime settimane dal governo etiope con i principali creditori per la sospensione del pagamento del suo eurobond da 1 miliardo di dollari si sono conclusi senza alcun accordo e il Paese del Corno d’Africa ha ammesso un’acuta crisi di liquidità, tale da impedirgli anche di pagare i 33 milioni di interessi scaduti lunedì. Nei mesi scorsi, l’Etiopia aveva chiesto al Fondo monetario internazionale nuovi finanziamenti per 2 miliardi di dollari e discussioni in merito sono ancora in corso, con lo staff del Fmi in procinto di visitare il Paese a inizio 2024.

In tutto questo, Ethiopian Airlines, la compagnia aerea statale che in questi anni ha fatto da “bancomat” al Paese per la sua capacità di attrarre valuta estera, ha nuovamente confermato (lo aveva già fatto in precedenza) l’intenzione di iniziare la costruzione di un nuovo aeroporto nella zona di Bishoftu, non lontano da Addis Abeba, che potrebbe consentire la gestione di 100 milioni di passeggeri l’anno. Solo lo scorso anno la compagnia ha inaugurato un nuovo terminal da 363 milioni di dollari all’aeroporto internazionale Bole della capitale, portando da 7 a 22 milioni di passeggeri annui la capacità dello scalo. Un’operazione finanziata dalla cinese Export-Import Bank of China, una banca controllata da Pechino che finanzia molti progetti all’estero. Ma per i vertici della Ethiopian Airlines, e dello Stato etiope, serve un aeroporto più grande per quello che è il principale hub aereo tra l’Africa e il resto del mondo. Lo scorso anno la compagnia ha fatto registrare ricavi per 6,1 miliardi di dollari, in crescita del 20 per cento in un anno. Nessun dettaglio, in un periodo di tale crisi economica per il Paese, è stato però diffuso sui finanziatori di una simile impresa, per cui oggi è difficile pronosticare tempi certi.




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