domenica 20 settembre 2009
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Parola d’ordine: prendersi cura. Di che cosa, è presto detto: dei legami familiari. È forse troppo azzardare una tale sintesi – due parole appena – però la chiave per uscire dalla crisi della famiglia, che investe anche la sua responsabilità educativa, in fondo sta tutta qui: dare valore alle relazioni, appassionarsi agli affetti familiari, costruire attorno a essi progetti forti, resistenti, che diano il senso di un patrimonio morale e di valori che passa di generazione in generazione.La crisi della famiglia deve trovare nella famiglia stessa la sua “cura”, sembra dire il capitolo dedicato a questo tema dal Rapporto-proposta elaborato dal Comitato per il Progetto culturale della Cei. Certo, «per ri–esprimere il desiderio di famiglia che è ancora così vivo nella nostra cultura», come specifica il Rapporto, sono necessarie alcune condizioni. Servono «politiche familiari serie che sostengano sussidiariamente la famiglia», misure di sostegno al legame coniugale, «in modo che (la coppia) non si arrenda facilmente alle difficoltà che incontra sul suo cammino»; occorre ripristinare una solidarietà tra adulti che renda tutti – i vicini di casa, gli amici, i conoscenti – partecipi dei compiti educativi dei genitori; è necessario cogliere le opportunità offerte dall’associazionismo familiare e da tutte le forme, anche non istituzionalizzate, di legami di fiducia, solidarietà e cooperazione tra famiglie.La posta in gioco, del resto, è epocale. Perché l’emergenza educativa sulla quale la Cei si sta interrogando interpella per prima la famiglia, le chiede di «far emergere il nocciolo duro del suo compito: generare, dar vita, non solo biologica, ma compiutamente umana a un nuovo essere, a una nuova generazione». Il Rapporto-proposta non nasconde le difficoltà: la giovane coppia è impegnata in una difficile conciliazione tra famiglia e lavoro, tra figli e genitori anziani da accudire, bombardata da una cultura dell’effimero che esalta le passioni e snobba il "per sempre". Se non si hanno nervi saldi e molta volontà, la crisi è dietro l’angolo. La prima “ricetta” per ridare forza alla famiglia, allora, è sostenere il legame coniugale. Ma chi lo deve fare? «Be’, basta guardarsi intorno – interviene Eugenia Scabini, direttore del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano –. Partiamo dal fidanzamento: gli unici che fanno qualcosa per rendere più consapevoli le coppie della prospettiva di vita che hanno scelto sono i corsi promossi per chi si sposa in chiesa. Solo raramente i Comuni si sono affiancati, laddove hanno capito che il tema della stabilità della coppia riguarda l’intera società. Esistono poi in tutta Italia vari corsi e programmi di “arricchimento dei legami familiari”, ma certo dovrebbero essere resi più disponibili». Oltretutto, spiega Scabini, «gli studiosi di scienze sociali e gli economisti hanno ormai accertato che attivare programmi di affiancamento della genitorialità ha un costo, ma i vantaggi sociali di una maggiore stabilità familiare sono enormemente maggiori». Insomma, sulla “salute” della famiglia giovane, quella che deve crescere i figli, si gioca la partita della società. «Sì – conferma la Scabini –, perché la famiglia resta il luogo insostituibile in cui si apprendono le abilità non solo cognitive, ma anche relazionali e sociali. E dunque la possibilità di diventare cittadini responsabili e affidabili».
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