giovedì 15 aprile 2021
Il vescovo presidente della Commissione episcopale Cei per l’ecumenismo e il dialogo: nel nostro Paese è già radicata una convivenza nel quotidiano. Il Ramadan è testimonianza di genuinità della fede
Volontari preparano il cibo per i fedeli al tramonto nel primo giorno del Ramadan, nella moschea di Jama Masjid a New Delhi

Volontari preparano il cibo per i fedeli al tramonto nel primo giorno del Ramadan, nella moschea di Jama Masjid a New Delhi - Ansa / Afp

COMMENTA E CONDIVIDI

"Auguro che questo tempo di Ramadan sia un tempo di rinnovamento spirituale, di preghiera, di riconciliazione e di pace per tutti i fedeli della comunità musulmana di Perugia, affinché possano rinnovare il legame con Dio e con i fratelli, non solo di fede, ma anche con tutte le persone in mezzo alle quali vivono". Così il cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti,
presidente della Cei, nel suo messaggio inviato alla comunità musulmana del capoluogo umbro all'inizio del Ramadan.

Anche l’islam italiano ha iniziato martedì a vivere il mese del Ramadan. Un momento forte per i seguaci di Maometto che rappresentano ormai una realtà cospicua nel nostro Paese. Nelle grandi città, ma non solo. Un tempo che può essere anche occasione di conoscenza e dialogo nella prospettiva di una sempre maggiore integrazione sociale. Ne parliamo con monsignor Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino e presidente della Commissione episcopale Cei per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso.

Monsignor Ambrogio Spreafico

Monsignor Ambrogio Spreafico - Siciliani

Eccellenza, come guardare e come accompagnare, da cattolici, questo periodo particolarmente intenso per i fedeli islamici?
Quello cominciato martedì è, per i musulmani tutti e quindi anche per quelli italiani o che vivono nella Penisola, un momento di testimonianza della genuinità della loro fede. Per gli islamici, è il cuore del loro anno rituale, come lo è per noi la Pasqua. Si tratta di un tempo di preghiera e digiuno. E può essere letto come un segno, che diventa istruttivo anche per noi, di separazione da se stessi per sottolineare il legame con Dio rinunciando a ciò che nella vita quotidiana sembra indispensabile ed essenziale. In questo tempo di pandemia il digiuno può anche essere letto come un invito ad essere più solidali con gli altri.

Concretamente le nostre comunità come possono solidarizzare con gli islamici che vivono un momento forte della loro fede?
Ciò può avvenire nella vita quotidiana. Nelle nostre città, nei nostri borghi è già radicata una convivenza quotidiana. Lo vedo qui a Frosinone dove i figli delle famiglie musulmane e delle famiglie cristiane frequentano le stesse scuole. Certo, a volte ci sono pregiudizi da entrambe le parti, ma poi nel condividere la vita quotidiana possono essere superati. Ciò detto, quello che manca è approfondire questa mutua conoscenza che potrebbe aiutare a fare crescere quella comunione di vita, quella convivenza che in tanti auspichiamo. Mi sembra che nel nostro Paese ci siano diversi segni in questa direzione. Ma questo non ci esime da continuare e approfondire questo cammino. Anche perché una sempre maggiore integrazione con le comunità islamiche già radicate in Italia potrà certamente favorire quella dei profughi musulmani che continuano a raggiungere il Paese.

Integrazione, insieme ad accoglienza, sono le parole chiave spesso invocate da papa Francesco quando parla del fenomeno migratorio.
A parte alcuni episodi abbastanza circoscritti, mi sembra che in Italia, ripeto, ci sia un impegno per favorire l’integrazione che coinvolge movimenti e parrocchie. Nella nostra diocesi, ad esempio, abbiamo fedeli islamici che ci aiutano a servire come volontari nella mensa per i poveri oppure nelle parrocchie. Altrove ragazzi musulmani partecipano alle attività degli oratori, nel pieno rispetto della loro fede. La sfida del progetto dei corridoi umanitari è un segno che l’integrazione è sempre possibile, anche per famiglie che provengono da situazioni particolarmente difficili e di grande sofferenza.

Il Pontefice, con parole e gesti, sprona il mondo cattolico in questo processo di integrazione.
Papa Francesco ci ricorda che l’incontro e la relazione sono fondamentali nel dialogo e per la pace. Senza questo rapporto personale, anche documenti importanti rischiano di fermarsi agli esperti ma non entrano nel patrimonio comune delle nostre comunità. Il Documento sulla fratellanza umana di Abu Dhabi, accompagnato dai viaggi negli Emirati e dagli incontri in Egitto e a Roma con la più grande autorità sunnita al-Tayyeb, il recente incontro con il leader sciita al-Sistani nella città santa di Najaf in Iraq, costituiscono nel loro insieme un grande segno, anche profetico. Infatti, in un mondo globale, ma insieme frammentato e a volte violento, il Papa con il suo magistero accompagnato da gesti concreti ci mostra che è davvero possibile costruire una convivenza che, pur mantenendo le innegabili diversità, aiuti a promuovere la pace.

Niente cibo e bevande fino al tramonto

Nel calendario islamico il Ramadan è il nono mese dell’anno (dato che si tratta di un calendario composto da 354 o 355 giorni, il Ramadan cade in momenti differenti dell’anno solare) e quello in cui si pratica il digiuno (Sawm), per commemorare la prima rivelazione del Corano a Maometto. Il digiuno consiste nell’astenersi dal consumare cibi e bevande (e dai rapporti sessuali) dall’alba fino al tramonto. Chi è impossibilitato a digiunare perché malato dovrà recuperare i giorni che ha saltato. Le donne incinte o che allattano, i bambini e i malati cronici sono esentati dal digiuno e al suo posto devono compiere – secondo le proprie possibilità – azioni di carità, per esempio dare nutrimento a persone bisognose indipendentemente dalla loro religione. Le donne durante il ciclo mestruale non devono digiunare e devono successivamente recuperare i giorni mancati. Al termine del Ramadan viene celebrato lo “Id al-fitr” che significa «festa dell’interruzione del digiuno».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: