sabato 7 ottobre 2023
Il gesuita docente alla Gregoriana: papa Francesco, come i predecessori, si prende a cuore il futuro dell’intera famiglia umana. Nell’esortazione un forte appello a superare la cultura dello scarto
Il teologo dos Santos: «La cura del creato ci rende fratelli»
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«C’è chi accusa papa Francesco, fin dal tempo dell’enciclica Laudato si’, di preoccuparsi più delle piante che degli esseri umani. Ma è un’accusa falsa, come dimostra una volta di più l’esortazione apostolica Laudate Deum: a muoverlo e ispirarlo è la preoccupazione per il futuro della famiglia umana, chiamata ad una forte e condivisa assunzione di responsabilità nella cura del creato, di fronte alle evidenze di un aggravamento della crisi socio-ambientale. Al cuore della sua preoccupazione, in particolare, stanno le sorti degli ultimi, degli “scartati”. Perché il degrado ambientale, ci ricorda il Papa, porta anche al degrado delle persone, soprattutto di chi vive già ai margini, e al degrado della convivenza umana». Parola di Adelson Araújo dos Santos, brasiliano, docente all’Istituto di Spiritualità della Pontificia Università Gregoriana, dov’è superiore della comunità dei gesuiti. Padre Araújo dos Santos è studioso di eco-teologia: ha partecipato come esperto al Sinodo per l’Amazzonia – come ora è esperto al Sinodo dedicato al tema della sinodalità – e alla Gregoriana ha avviato un corso sul dialogo fra spiritualità ed ecologia integrale.

Perché, a otto anni dalla Laudato si’, papa Francesco ha sentito l’esigenza di indirizzare «a tutte le persone di buona volontà» questa esortazione apostolica sulla crisi climatica?

Con la Laudate Deum il Papa ci chiama ad un esame di coscienza: abbiamo preso sul serio la Laudato si’? Abbiamo preso sul serio la sua proposta di “ecologia integrale”? Abbiamo preso sul serio l’aggravarsi dell’impatto del cambiamento climatico? Abbiamo compreso com’è decisivo affrontare la sfida del cambiamento climatico – come chiede il Papa nella Laudate Deum – andando oltre un «approccio meramente ecologico» per affrontarla invece nella sua realtà di «problema sociale globale che è intimamente legato alla dignità della vita umana»?

Questo rinnovato appello alla “conversione ecologica” è arrivato in un giorno – il 4 ottobre di questo 2023 – non scelto a caso...

Anzitutto è la festa di san Francesco d’Assisi, che è una data speciale per il Papa, e che richiama la figura di un santo che è decisiva quando parliamo di creato e di quella fraternità che siamo chiamati a costruire e vivere fra di noi e con il creato stesso. In secondo luogo: è il giorno in cui si conclude il “Tempo del Creato”, che dal 1° settembre chiama le Chiese a unirsi nella preghiera e nell’azione per la cura della casa comune. In terzo luogo: è il giorno di apertura della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sul tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”.

Questa nuova esortazione apostolica in quale relazione si pone con il precedente magistero di Francesco?

Si pone in una relazione di continuità non solo col pensiero di questo Papa, ma anche con quello dei suoi predecessori e con il cammino della dottrina sociale della Chiesa. La riflessione e l’invito ad agire in materia di cura del creato non nascono con Francesco. Riconosciamo uno sviluppo che va dalla Rerum novarum di Leone XIII e che, attraverso encicliche ed esortazioni apostoliche, arriva alla Fratelli tutti – dove leggiamo che «prendersi cura del mondo che ci circonda e ci sostiene significa prendersi cura di noi stessi», e dove la sfida è «costituirci in un “noi” che abita la Casa comune». Benedetto XVI ci ha parlato di “ecologia umana”. E con l’enciclica Laudato si’ papa Francesco mette l’ecologia integrale al centro della sua riflessione sulla cura del creato. Non si tratta dunque di un’enciclica “verde”, ecologica in senso stretto, ma di un insegnamento che parlando di ecologia integrale mette in connessione la cura della casa comune e il futuro dell’umanità. Un approccio rilanciato ora con la Laudate Deum.

In questo nuovo testo il Papa denuncia come, di fronte alle sempre più gravi ferite inferte alla casa comune, ci stiamo «avvicinando a un punto di rottura». Come affrontare quel «paradigma tecnocratico» che sta «alla base dell’attuale processo di degrado ambientale»?

Francesco ci chiama a promuovere un’etica, una cultura, una spiritualità che ci permettano di ripensare l’uso del nostro potere – che il paradigma tecnocratico concepisce come illimitato – sul creato e sull’umanità. C’è una cultura dello scarto, torna a denunciare il Papa, che ispira il cammino di una società dove c’è chi spreca risorse e chi non ha accesso ai beni fondamentali di un’aria e acqua pulita, di un cibo degno. Nella sua preoccupazione di pastore, il Papa incoraggia a buone pratiche di cura della casa comune che sanno integrare gli “scartati”. Alla radice della sua riflessione c’è un’antropologia che nasce dalla teologia cristiana e che non separa anima e materia, come facevano i filosofi platonici, ma le concepisce come unite. In Gesù Cristo, Dio si è incarnato. E ha dato all’uomo il compito di condividere con il Figlio la missione di portare il mondo nel disegno di salvezza del Padre. Nel suo amore Dio ha creato il mondo non per un destino di distruzione ma di vita, e perché le creature vi possano vivere in armonia. Di questo l’umanità è costituita responsabile.

Come vivere questa responsabilità?

Dalla fede e dalla visione cristiana nasce un umanesimo, nascono valori, nasce un’etica che ci chiamano a preoccuparci di tutti – perché “tutto è collegato” e “nessuno si salva da solo”, come ribadisce la Laudate Deum. E viene un appello a riscoprire e vivere nella politica – oggi così spesso disprezzata – una delle vocazioni più nobili dell’umanità, com’è quando la politica costruisce nel dialogo le condizioni di una vita degna per tutti. All’agire politico i cristiani devono saper dare un fondamento spirituale, ricordando che lo spirituale non deve restare fuori dalla realtà ma deve operare nel mondo e trasformare il mondo, a partire dal nostro cuore. Il Papa insiste su questo, perché a volte facciamo ancora fatica a capire com’è importante, per la nostra vocazione di battezzati, essere cittadini di un mondo che è affidato alla nostra cura. E questo dobbiamo portarlo nel nostro pensiero, nella nostra azione, nella nostra preghiera.

Il Papa scrive, in conclusione: «“Lodate Dio” è il nome di questa lettera. Perché un essere umano che pretende di sostituirsi a Dio diventa il peggior pericolo per sé stesso»...

Perciò è importante – mi permetto di suggerire – non solo di leggere, studiare, discutere questo testo, personalmente e in comunità, ma di pregare, a partire da questo testo, per chiedere a Dio cosa ci è chiesto, attraverso le parole del Papa, per vivere la cura della casa comune. E muovendo dalla Laudate Deum, possiamo riscoprire la spiritualità della creazione che è propria del cristianesimo. Spesso cerchiamo i tesori di altre tradizioni religiose: ma non dimentichiamo lo straordinario tesoro che ci è offerto, anzitutto, dalla fede e dalla tradizione cristiana.

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