lunedì 13 novembre 2023
Il gesuita Nuno Tovar de Lemos spiega su "La Civiltà Cattolica" cosa il Pontefice intenda per accoglienza verso chi si sente escluso dalla comunità cristiana.
Il «Todos, todos» di Francesco? Non è di certo relativismo

Agenzia Romano Siciliani

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Una Chiesa in grado di accogliere tutti come una casa paterna dove c’è posto per ciascuno. Ma anche una Chiesa che non abbandona i suoi ideali più alti e difende i Sacramenti per sempre come il matrimonio e il sacerdozio e dice no e in modo netto ad ogni forma di relativismo sociale ed etico. È la Chiesa di papa Francesco, come sottolinea nell’ultimo numero de La Civiltà Cattolica l’articolo dal titolo eloquente «“Tutti, tutti, tutti”. Accoglienza o relativismo nella Chiesa cattolica» firmato dal gesuita portoghese Nuno Tovar de Lemos, direttore del Centro Comunitario San Cirillo a Oporto.

Il religioso nel suo articolato intervento, apparso sul quindicinale della Compagnia di Gesù, ha voluto spiegare nella giusta chiave ermeneutica il senso del discorso pronunciato a Lisbona durante la Gmg dell’agosto scorso da papa Francesco. Intervento nel quale il Vescovo di Roma ha chiesto soprattutto alla Chiesa come istituzione di essere accogliente con tutti e di non escludere nessuno. Nel saggio si fa ampio accenno all’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium del 2013. Secondo padre Tovar de Lemos questo testo profetico del Pontefice deve essere letto in continuità con l’intervento del Pontefice in Portogallo: cioè di una Chiesa che non sia più una «dogana» ma sia sempre in grado di accogliere «ciascuno con la sua vita faticosa».

Tanti sono soprattutto gli interrogativi su cosa significhi accogliere le persone con le loro ferite, affettività disordinate oggi dentro le mura domestiche di un Santuario o di una parrocchia. «In primo luogo, quando il Papa parla di accogliere “tutti”, non si riferisce, - si legge nell’articolo- in particolare, a coloro che si sono risposati civilmente dopo il fallimento di un matrimonio sacramentale, o alle persone omosessuali. La preoccupazione del Papa è molto più ampia: “tutti” significata i poveri, coloro che si sentono peccatori, i sani e i malati e tutti quelli che, per qualsiasi motivo, non si sentono degni di entrare in una chiesa».

Dal Pontefice – è la spiegazione del gesuita portoghese - non arrivano parametri o ricette sicure per accogliere nuove persone nel recinto delle nostre chiese. Ma a giudizio di padre Toavar da Bergoglio arriva soprattutto questo suggerimento di accompagnare queste persone (al di là degli orientamenti sessuali, politici ed ecclesiali), spesso in ricerca di Dio, a sentirsi accolte «con l’aiuto della comunità cristiana». Una sollecitazione dunque non solo ad aprire con gioia la porta a chi bussa «in qualunque condizioni si trovi» ma anche a compiere con questa persona dei «passi di crescita, a capire ciò che non ha ancora capito».

Da queste pagine affiora soprattutto la coerenza del magistero petrino di Francesco (basti pensare all’Esortazione apostolica Amoris laetitia). Come paradigma ideale di questo stile di accoglienza vengono indicati il decalogo dei dieci comandamenti e il Discorso della montagna che «Gesù ha poi concretizzato e approfondito nel suo stile di vita». Ma soprattutto arriva l’esortazione a non giudicare le persone che bussano alle nostre comunità cristiane. «L’insistenza di papa Francesco sull’accogliere “tutti, tutti, tutti” non significa – è la conclusione dell’articolo - alcun relativismo rispetto agli ideali. Questi rimangono intatti. Il Papa afferma che la Chiesa deve sapere accogliere tutti, ma non dice né può dire come ciò avverrà caso per caso».

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