venerdì 4 luglio 2025
Per i padri della scienza psicanalitica moderna le Sacre Scritture, che più volte cercarono di interpretare secondo i propri schemi, furono un vero e proprio "rovello"
Il Mosè di Michelangelo nella basilica di San Pietro in Vincoli a Roma

Il Mosè di Michelangelo nella basilica di San Pietro in Vincoli a Roma - .

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La psicoanalisi fu definita da Anna Freud, figlia ed erede intellettuale di Sigmund, come una «scienza ebraica». I freudiani della prima generazione provenivano in gran parte da famiglie ebraiche dell’Europa centrale che nell’Ottocento, ottenuta l’emancipazione civile nei loro Paesi, si erano distaccate dalla tradizione biblica, talmudica e mistica delle generazioni precedenti. Negli anni Trenta del Novecento, quando le patrie e le culture a cui si erano assimilati si volsero a perseguitarli, molti – e non dei meno importanti – trovarono asilo in altri Paesi: Freud, ormai ottantaduenne e gravemente malato, riparò a Londra nel 1938; il suo allievo Theodor Reik ed Erich Fromm avevano abbandonato la Germania già nel 1934. Verso il tramonto delle proprie esistenze, sia Freud che poi Reik e Fromm sentirono la necessità di applicare il metodo psicoanalitico per capire il rapporto che avevano – o non avevano – avuto con l’ebraismo e con il fatto religioso in generale.

Questo tuffo autoterapeutico nelle proprie radici produsse una letteratura di interpretazioni freudiane della Bibbia ebraica, a partire da L’uomo Mosè e la religione monoteistica dello stesso Freud, l’unico libro che egli dedicò espressamente all’ebraismo. Scritto fra i tormenti dell’esilio e della malattia terminale, il libro risente della propria genesi lunga e sofferta. Le sue tesi di fondo sono note: al fallimento della riforma religiosa monoteistica e universalistica del faraone Ekhnaton, Mosè, che di Ekhnaton era un cortigiano, avrebbe condotto verso la Terra Promessa un gruppo di seguaci, i quali infine lo avrebbero ucciso (secondo l’interpretazione che l’ebraista viennese Ernst Sellin aveva dato di un passo del libro di Osea); la memoria collettiva di questo crimine sarebbe poi stata rimossa, e con essa anche il contenuto della riforma. In questo ipotetico delitto Freud vedeva riattuarsi l’uccisione del padre-capo dell’orda primitiva, alla cui rimozione ed elaborazione psicologica da parte dei figli-parricidi egli faceva risalire l’origine della religione e del contratto sociale (Totem e tabu, 1912).

Da aggiornato autodidatta, e anticipando alcune tendenze della ricerca odierna, Freud scavava la Bibbia ebraica come documento ideologico: il monoteismo etico predicato da Mosè e poi rimosso sarebbe infine ritornato – come ritorna ogni rimosso – attraverso il messaggio dei Profeti biblici, finendo col prevalere sul monoteismo ritualistico della classe sacerdotale, e venendo a costituire l’essenza dell’ebraismo postbiblico. Freud stesso, con titubanza pari alla sua onestà intellettuale, ammetteva di avere costruito ipotesi su altre ipotesi, e che il suo libro era «una ballerina in equilibrio sulla punta di un piede». La sua indagine biblica resta oggi interessante come sintomo freudiano essa stessa, con un contenuto manifesto e uno latente; e vi si vede bene come Freud in parte temesse e in parte desiderasse di riuscire sgradito agli ebrei ortodossi, che chiamava «talmudisti», e che (come i filosofi della Scolastica cui li paragonava) «si appagano dell’esercizio della loro sottigliezza, indifferenti al dubbio che le loro affermazioni siano estranee alla realtà».

Anche il nonno di Theodor Reik – allievo di Freud e fondatore della psicoanalisi “laica” – era stato un talmudista ortodosso, come Reik rievocava in una serie di letture ortodossamente freudiane di episodi-chiave della Bibbia ebraica che pubblicò nella sua nuova patria, gli Stati Uniti, tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso (alcune tradotte in italiano col titolo Psicanalisi della Bibbia). Per Reik, la storia della creazione di Eva era la trasposizione simbolica di un primitivo rito ebraico di passaggio, in cui il sonno di Adamo durante la rimozione della costola significava la morte iniziatica, tramite cui l’uomo-adam diventa adulto e pronto per l’unione matrimoniale. E anche l’esistenza di Adamo ed Eva nell’Eden si poteva leggere «come la luna di miele», e la loro espulsione «come la fine della dolce illusione d’amore». La psicoanalisi diventava così una forma moderna e secolare di esegesi allegorica della Scrittura: «disseppellire la vita segreta del passato preistorico», scriveva Reik, era l’unica via verso una conoscenza di sé in cui l’ontogenesi di ciascun individuo si integrasse con la filogenesi di ciascuna tradizione religiosa, e la psicoanalisi divenisse un’«archeologia dell’anima».

Anche Erich Fromm proveniva da una famiglia rabbinica ortodossa, dalla quale si distaccò in direzione di un suo umanesimo universalistico (esposto in libri popolarissimi come Avere o essere e L’arte di amare) e della considerazione della religione come «espressione storicamente condizionata di un’esperienza interiore», ben diversamente dall’idea che Freud aveva della religione come nevrosi coattiva di gruppo. A 66 anni anche Fromm sentì la necessità di confrontarsi con la radice biblica. La Bibbia ebraica, secondo l’interpretazione «radicale» che ne diede Fromm (Voi sarete come dèi, 1966), è il racconto dell’evoluzione di Dio, da creatore e padrone assoluto, geloso dell’uomo come rivale potenziale («È diventato come uno di noi», Genesi 3,22), fino a sovrano costituzionale, che si obbliga a osservare il principio di equità e si lega all’umanità con alleanze progressivamente sempre più specifiche con Noè, poi con Abramo, e infine con Mosè. Dal roveto ardente Dio si presenta agli israeliti con un nome fittizio, Io-Sono, per aiutarli a comprenderlo: ma rimane in realtà un Dio senza nome, «che si tiene nascosto» (Isaia 45,15) e che si può lodare solo stando in silenzio (Salmo 65,2). Così, Fromm leggeva nella tradizione ebraica l’approdo graduale a una teologia negativa, secondo cui Dio si può raccontare ma non descrivere: e questo tipo di conoscenza del divino si identificava per Fromm con il rifiuto – predicato nella Bibbia, e da ribadire nel mondo odierno – di adorare qualsiasi idolo, sacro o profano che sia.

* Università Ca Foscari Venezia

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