La narrativa della guerra e la pace oscurata
Molti operatori dell’informazione, intellettuali di varia provenienza, politici, tecnici ed esperti continuano a ripetere che «un conflitto è alle porte», e che dobbiamo adeguarci. Una filiera del male che rischia di avere responsabilità gravi

Scriveva Simone Weil ne La prima radice che coloro che, avendo «il privilegio di usare la parola o la penna», avevano creato, attraverso articoli, libri e interventi vari, il clima che aveva reso possibile l’ascesa di Hitler al potere, non erano meno responsabili di Hitler stesso per ciò che poi successe in Germania e in Europa. Le parole della filosofa francese tornano spesso alla mente in un periodo – che davvero ha dell’incredibile: nel senso letterale del termine, che si stenta a credere vero –, nel quale è quasi in corso una gara da parte di molti operatori dell’informazione e di molti intellettuali di varia provenienza, oltre che da parte di politici, tecnici ed esperti, a ripetere che «la guerra è alle porte», che anzi «siamo già in guerra», e che non possiamo fare altro che adeguarci, prepararci nei modi più opportuni, a cominciare dalla necessità di armarci e di prendere sul serio la politica della deterrenza, l’unica che a dire di tutti può garantire la pace in futuro; l’unica scelta sensata, se vogliamo difendere la nostra “civiltà”, che poi sarebbe la civiltà del diritto contro la civiltà della violenza e della forza.
Ciò che aggiunge stupore allo stupore, in questa narrazione, è il costante e sistematico oscuramento di ogni argomento contrario, che ancor prima di rimanerne delegittimato viene semplicemente ignorato, e non a caso. Perché qualunque arricchimento nel riportare posizioni e opinioni rischierebbe quanto meno di suscitare domande, di far sorgere dubbi; forse, di creare qualche ostacolo se non addirittura di far nascere qualche seria opposizione ad un discorso bellico che si alimenta soltanto di se stesso e finisce, quindi, per mettere in atto ciò che, con pretesa “realista” e scientifica, pretende di descrivere. Due conferme clamorose di questo atteggiamento le abbiamo avute nei giorni appena trascorsi. La prima, in occasione della presentazione del Messaggio di papa Leone XIV per la 59ma Giornata Mondiale della Pace, il 18 dicembre scorso. Si tratta di un Messaggio dal contenuto chiarissimo e forte, che dovrebbe rappresentare quanto meno un documento da leggere e discutere, se non altro dai tanti politici italiani ed europei che non perdono occasione per proclamarsi difensori, non solo dei “valori occidentali”, ma anche, se non soprattutto, dei valori cristiani. Non si è sentito finora neppure un commento da parte di qualche politico, e quanto ai principali organi di informazione ne hanno appena accennato il giorno dopo la pubblicazione (solo Avvenire ha dedicato l’apertura del giornale al Messaggio, ndr) , ma dandogli la dignità di un minimo fatto di cronaca, ricordandolo in poche righe, e dando invece un certo risalto alla visita che il Pontefice aveva fatto lo stesso giorno al Senato della Repubblica, venendo accolto e ricevuto dal suo Presidente, l’on. La Russa.
Altrettanto significativo quanto avvenuto con il discorso del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione dell’incontro per gli auguri natalizi con le alte cariche istituzionali. Di quel discorso, quotidiani e tv – e di riflesso, anche le discussioni sui social, che nonostante quanto spesso diciamo, vivono ancora in gran parte di ciò che fa notizia in televisione – hanno riportato esclusivamente il passaggio nel quale il Presidente parlava della necessità del riarmo, alla quale occorrerebbe cedere nonostante si tratti di una misura «impopolare». Un passaggio che indubbiamente richiedeva di essere messo in risalto, se non altro perché appare in effetti problematico da diversi punti di vista, ma che era inserito in un discorso nel quale non mancavano certo altri spunti di estremo interesse, i quali solo nella cronaca riportata da Avvenire e dalle agenzie di informazione cattoliche hanno avuto il giusto spazio. Tanto per dirne uno, particolarmente importante è stato anche il richiamo di Mattarella all’idea che la libertà non coincide con l’arbitrio, e che perciò ogni potere – non solo politico, ma anche sociale economico e tecnologico –, non può pensare se stesso se non dentro una cornice di regole che lo limiti (e al tempo stesso, lo legittimi). E proprio perché nel discorso del Presidente della Repubblica c’era tanto altro su cui soffermarsi, appare significativo che il passaggio sul riarmo sia stato l’unico ad essere ripreso e rilanciato.
Si torna perciò alla questione iniziale. Sono consapevoli gli operatori dell’informazione della loro grande – grandissima – responsabilità nel determinare il clima in cui si stanno facendo scelte così importanti e così preoccupanti? Hanno coscienza del fatto che la loro scelta di oscurare i discorsi e le proposte che muovono dalla pace anziché dalla guerra, finirà per rendere sempre più probabile e sempre più ineluttabile il cammino che porta alla guerra? «Il male è una filiera», come ha ricordato il Cardinale di Napoli, don Mimmo Battaglia, in occasione della festa di San Gennaro a settembre: esso «ha uffici, contabili, bonus, piani industriali. La guerra non “scoppia”: si produce, si finanzia, si premia», diceva il Cardinale, e possiamo aggiungere che la guerra ha i suoi cantori mascherati da tecnici, e anche da informatori. Sarebbe il caso, quindi, che ciascuno avesse piena coscienza del posto che occupa nella filiera che porta alla guerra, e del posto che invece potrebbe occupare nella filiera contraria, che alla bruttezza della guerra oppone — e dovrebbe opporre convintamente — la bellezza della pace.
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