lunedì 25 dicembre 2023
In un territorio dove l’ateismo sovietico fa ancora sentire i suoi effetti, la rappresentazione della nascita di Gesù diventa occasione per scoprire il volto di un Dio che ci rende fratelli
La Cattedrale greco-cattolica di Kharkiv: sulla facciata l’invito a pregare per l’Ucraina

La Cattedrale greco-cattolica di Kharkiv: sulla facciata l’invito a pregare per l’Ucraina - Gambassi

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«Che cos’è il presepe?». Nessuno si è stupito quando, qualche giorno fa, Iryna ha fatto questa domanda durante un incontro di bambini nel seminterrato della Cattedrale greco-cattolica di Kharkiv, luogo sicuro per ritrovarsi in una metropoli che dista cinquanta chilometri dalla frontiera con la Russia. Ha nove anni ed è una rifugiata. La sua famiglia ha lasciato una delle cittadine vicino al confine dove i bombardamenti si stanno intensificando. Al gruppo di cui fa parte, era stato proposto di disegnare la Natività in un cartellone. Compresa di bue, asinello, pastori, Magi e pecorelle da far risaltare con il cotone. «Ma il cotone è difficile da trovare dopo quasi due anni di conflitto. Come i medicamenti e i farmaci», spiega suor Olexia, religiosa di San Giuseppe e instancabile animatrice della principale chiesa greco-cattolica della seconda città del Paese dopo Kiev. «Qui nell’Ucraina orientale – prosegue – ancora si risente dell’onda lunga dell’ateismo dell’Unione Sovietica. La fiamma religiosa si sta riaccendendo ma resta ancora flebile. E in molte famiglie la fede cristiana rimane una “grande sconosciuta”. O meglio, si scopre la Chiesa sotto le bombe grazie al Vangelo della carità: come sportello di soccorso umanitario o come punto di aggregazione per i ragazzi che non escono quasi mai, sia per ragioni di sicurezza, sia per le lezioni solo online. Allora tanti domandano: “Perché lo fate?”. E inizia un cammino insieme». Come con i genitori di Iryna e con lei.

Nella Cattedrale di Kharkiv il cartellone per far conoscere il presepe ai bambini

Nella Cattedrale di Kharkiv il cartellone per far conoscere il presepe ai bambini - Gambassi

Ecco perché, consapevoli che l’origine cristiana della grande festa possa essere ignorata, si è scelto di ripartire da Betlemme e della sacra rappresentazione ideata da san Francesco 800 anni fa. Anniversario altrettanto “forestiero” al sentire ucraino. Non è un caso che nel pomeriggio di Natale due gruppi di ragazzi, uno di più piccoli e uno di adolescenti, farà conoscere la grande intuizione del Poverello con un doppio presepe vivente nella chiesa “sotterranea” della Cattedrale mai terminata perché l’invasione russa ha fermato il cantiere. Evento insolito che prende il posto dell’appuntamento a base di giochi e canti.

Il vescovo greco-cattolico di Kharkiv, Vasyl Tuchapets, fra i poveri di guerra davanti alla Cattedrale

Il vescovo greco-cattolico di Kharkiv, Vasyl Tuchapets, fra i poveri di guerra davanti alla Cattedrale - Gambassi

«Dalla Natività e quindi dal presepe giunge un forte richiamo alla pace – sottolinea l’esarca Vasyl Tuchapets –. La Chiesa la desidera con tutta se stessa. La invochiamo ogni giorno nella preghiera. E lo faremo in special modo il 25 dicembre». Per la prima volta l’Ucraina festeggerà la solennità con l’Occidente. Una decisione condivisa delle autorità civili e delle comunità religiose. Fra quelle che hanno “riformato” il calendario liturgico proprio la Chiesa greco-cattolica che ha scelto di lasciarsi alle spalle il calendario giuliano ancora seguito a Mosca. «È un segno che mandiamo: celebreremo il Verbo che si fa carne insieme a gran parte del mondo – spiega il vescovo –. Qui abbiamo anche fatto una sorta di indagine fra i fedeli: il cambiamento, benché rapido, è stato accolto senza problemi». Persino la grande festa di san Nicola, davvero amata in tutto il Paese, ha cambiato data: dal 19 al 6 dicembre. «I bambini sono venuti in gran numero», racconta il presule. Intorno al santo che porta i regali.

La Cattedrale greco-cattolica di Kharkiv durante la distribuzione degli aiuti umanitari ai poveri di guerra

La Cattedrale greco-cattolica di Kharkiv durante la distribuzione degli aiuti umanitari ai poveri di guerra - Gambassi

Però nessuno si aspetta una tregua nei prossimi giorni. «Vivremo il nostro secondo Natale di guerra – prosegue Tuchapets –. Sarà un tempo favorevole per annunciare che il Signore viene per vincere la morte e il male, per salvare l’uomo, per riconciliarlo con Dio e con il prossimo. Certo, in una delle ultime notti sono caduti due missili russi a poca distanza da qui. Ma qualsiasi cosa possa succedere, celebreremo la nascita dell’Emmanuele che è il Dio con noi, in mezzo a noi anche se siamo bersagliati dalle bombe».

Alla vigilia di Natale la Cattedrale è tornata a essere un immenso hub di fraternità per i poveri di guerra: quasi duemila le persone che hanno ricevuto cibo, abiti, medicinali. «Gli aiuti stanno diminuendo ma i bisogni crescono – sottolinea l’esarca –. “Grazie per ciò che fate”, mi ha appena sussurrato un’anziana. L’Italia è al nostro fianco con preziosi benefattori: cito la basilica di Santa Sofia a Roma o il gruppo “Frontiere di pace” della zona di Como». Una pausa. «Il popolo è stanco e provato. “Quando finirà la guerra”, mi chiedono in molti. C’è voglia di pace. C’è il desiderio di tornare a vivere, non di limitarsi a sopravvivere».

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