mercoledì 15 novembre 2023
La neurologa Serenella Servidei interviene sul drammatico epilogo della vicenda della piccola malata inglese: «Serve un progetto serio per garantire l’assistenza sul territorio ai malati gravi»
L'esterno dell'ospedale di Nottingham dov'era ricoverata Indi Gregory

L'esterno dell'ospedale di Nottingham dov'era ricoverata Indi Gregory - Foto Angela Napoletano

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La docente della Cattolica: staccare i supporti vitali presuppone una decisione multidisciplinare e condivisa, che rispetti le sofferenze di bambino e genitori La decisione di staccare i supporti vitali deve avvenire in maniera multidisciplinare e condivisa al letto del paziente. Perché, come spiega Serenella Servidei, docente di Neurologia all’Università Cattolica e direttore di Neurofisiopatologia della Fondazione Policlinico Gemelli di Roma, «la linea di confine con l’accanimento terapeutico è sottilissima e la scelta è drammatica». Senza contare poi le difficoltà per le famiglie. «Oggi – denuncia Servidei – manca un approccio condiviso sul fine vita e un progetto serio, con gli investimenti economici necessari, per garantire sul territorio l’assistenza ai malati gravi, anche in fase terminale, e il supporto ai familiari».

Quale insegnamento lascia questa storia così triste?

Sono vicina ai genitori di Indi, bellissima bimba dalla vita purtroppo brevissima, e la perdita di un figlio è un dolore per me inimmaginabile. Ma il senso profondo della vita di Indi e di tanti bambini come lei, di cui non si parla, ci deve far riflettere su come una malattia devastante debba essere affrontata nella maniera più giusta, ma anche solidale, rispettando le sofferenze del bambino e dei genitori e accompagnandoli nel loro doloroso percorso.

È possibile comprendere l’evoluzione delle malattie mitocondriali e quindi la prognosi?

Le malattie mitocondriali sono molto eterogenee e possono manifestarsi a qualsiasi età, dalla nascita all’età avanzata. La prognosi non è sempre formulabile perché anche malati con lo stesso difetto genetico possono avere evoluzioni cliniche completamente diverse, a volte con esiti anche imprevedibili, bimbi adeguatamente supportati sopravvivono al di là del previsto. Tuttavia esistono degli elementi che possono suggerire quale possa essere l’evoluzione e ipotizzare una prognosi. In bimbi con esordio della malattia in epoca neonatale e a 8 mesi già in supporto respiratorio mediante tubo endotracheale, e alimentate mediante sondino nasogastrico, in assenza di terapie purtroppo la prognosi è sempre infausta.

Come si decide il percorso più adatto?

Non si può rimanere a lungo con tubo endotracheale o un sondino nasogastrico, perché trachea ed esofago verrebbero danneggiati irreversibilmente e oltretutto costituisce una situazione di grave sofferenza. Bisogna quindi ricorrere a tracheostomia e peg. Questo è stato evidentemente considerato accanimento terapeutico dai medici inglesi alla luce delle condizioni cliniche, della rapida evoluzione della malattia e dell’assenza di cure.

Quando si opta per le cure palliative?

In Italia, la decisione tra cure palliative e sospensione delle cure si prende al letto del paziente, considerando la storia clinica, le risultanze degli esami effettuati, il decorso della malattia e le evidenze scientifiche per quella specifica condizione. Partecipano alla decisione il malato stesso, o i genitori in caso di minori, i medici curanti, i rianimatori, i bioeticisti, cercando di arrivare tutti insieme alla scelta migliore nell’interesse primario del paziente. La linea di confine dell’accanimento terapeutico è sottilissima e la scelta è drammatica. Ma lo stesso Santo Padre ha detto, in un messaggio al presidente della Pontificia Accademia della Vita (novembre 2017) che è «moralmente lecito rinunciare all'applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico definito proporzionalità delle cure». L’immensa sofferenza dei genitori va sempre rispettata e condivisa, tuttavia medici e giudici non solo staccano spine ma per esempio possono imporre, contro il parere dei genitori, di fare una trasfusione o altri interventi salvavita rifiutati per motivi religiosi o ideologici. La tematica è molto complessa e sarebbe bello, in questo mondo globalizzato, si potesse affrontarla in modo globalizzato per cercare di assicurare a tutti un fine vita il più dignitoso e meno doloroso possibile.

Quali sono le maggiori criticità nel caso di malattie così gravi?

Purtroppo le criticità sono numerose. Nonostante la crescita delle acquisizioni scientifiche e delle competenze di gestione, diagnosi e assistenza delle malattie complesse, come le malattie mitocondriali, sono garantite nei grandi ospedali, non facilmente accessibili a tutti. L’assistenza sul territorio è sempre più carente, con tagli ai diritti e all’accesso alle cure domiciliari sempre più gravosi e con il peso della gestione dei malati gravi sempre più sulle spalle dei familiari “eroi”, spesso lasciati soli. E nonostante che proprio le nuove competenze abbiano portato a una più lunga sopravvivenza di malati inguaribili, le strutture per cure palliative o hospice sono pochissime, soprattutto quelle pediatriche. L'Oms definisce le cure palliative pediatriche come l’attiva presa in carico globale di corpo, mente e spirito del bambino e comprende il supporto alla famiglia. La Società italiana di pediatria ha stimato che in Italia vi accede non più del 15% dei bambini che ne avrebbe diritto.

Quindi cosa manca?

Un approccio condiviso sul fine vita e un progetto serio, con gli investimenti economici necessari, per garantire sul territorio l’assistenza ai malati gravi, anche in fase terminale, e il supporto ai familiari. I malati sono persone fragili e incolpevoli, è un loro diritto essere sostenuti ed è un dovere di una società civile che si voglia definire tale sostenere loro e i familiari, perché possano affrontare dignitosamente la fase più difficile del proprio percorso su questa terra.

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