domenica 20 luglio 2014
Il premier punta tutto sul patto del Nazareno: teneva anche con condanna del Cavaliere.
Belusconi: «Non voglio la grazia»
Due notizie. Una speranza di Marco Tarquinio
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​Che la solidità del patto del Nazareno non fosse mai stata messa in discussione era apparso evidente anche nei giorni scorsi. Del resto, neppure i primi, timidi passi in avanti registrati nel dialogo di giovedì in streaming tra le delegazioni di Pd e M5S sulla legge elettorale sembravano aver cambiato le carte in tavola. Ma adesso la sensazione diventa certezza: l’alleato principale del governo per ridisegnare l’assetto istituzionale del Paese era e resta il partito di opposizione guidato da Silvio Berlusconi. La conferma arriva attraverso le parole pronunciate da Matteo Renzi in Mozambico, dove il presidente del Consiglio si trova per la prima tappa del tour africano: «Abbiamo fatto con Forza Italia, che rappresenta milioni di voti, un accordo istituzionale perché in un Paese civile è meglio se si va avanti insieme. E da questo punto di vista avrei mantenuto la parola anche se Berlusconi fosse stato condannato». Nel merito della decisione dei giudici della Corte d’Appello di Milano, il premier preferisce non entrare.  «Non ho mai commentato una sentenza né inizierò a farlo oggi - si limita a dire -. Rispetto il lavoro dei magistrati». È chiaro, però, che l’assoluzione contribuisce ad agevolare il percorso e rafforza l’accordo. Perché, in caso di condanne, non si sarebbero potute escludere conseguenze negative sul piano politico. Alla luce dell’esito del secondo grado del processo Ruby, pure il consigliere politico di Berlusconi, Giovanni Toti, si dichiara maggiormente fiducioso: «Oggi, quelle riforme che servono al Paese, e che chiediamo da vent’anni, le facciamo in un clima più sereno e con cuore più leggero».Nonostante ciò, sul fronte delle riforme non fila tutto liscio tra i dem e Forza Italia. C’è da fare i conti, infatti, soprattutto con le manovre di ostruzionismo dei frondisti azzurri. Palazzo Chigi punta a spingere il piede sull’acceleratore. In particolare sul nuovo Senato, si vorrebbe ottenere il via libera in prima lettura al ddl Boschi entro la pausa estiva, che salvo slittamenti è fissata per l’8 agosto. Ma i piani dell’esecutivo non coincidono con quelli della minoranza di Fi. Su Palazzo Madama, ad esempio, Raffaele Fitto avverte: «Ritengo ci sia bisogno di un Senato elettivo». A far suonare un altro campanello d’allarme è il messaggio diffuso dal "Mattinale", la nota politica dello staff del gruppo alla Camera, con cui si auspica un "andamento lento": «Ora si va avanti con più serenità, per cui non è ammesso alcun tipo di "frettolosità sudamericana". Non abbiamo più la pistola alla tempia - si legge -. È tempo di far valere, senza remore o complessi, i nostri contenuti e il merito delle questioni». Nel testo, oltre a sottolineare la necessità di mettere in cima all’agenda politica il tema del presidenzialismo (ovvero l’elezione diretta del capo dello Stato), si chiarisce che «il carciofo dell’Italicum non va sfogliato ulteriormente». A proposito di legge elettorale, però, l’accordo tra Renzi e Berlusconi viene segnalato come sempre più blindato da fonti interne sia al Pd sia a Forza Italia. In particolare, il rottamatore e l’ex premier concorderebbero sul fatto di lasciare inalterate le soglie di sbarramento, senza abbassarle. «Su questo punto si è creato un asse tra segretario del Pd e numero uno di Fi con l’obiettivo di togliere potere di veto ai piccoli partiti», confidano alcuni parlamentari.  Non è difficile immaginare, tuttavia, che su questo aspetto le forze politiche minori e M5S scateneranno una dura battaglia.
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