venerdì 20 ottobre 2017
Nel 2007 23 suore iniziano un percorso per la prevenzione e il recupero delle vittime di sfruttamento sessuale e lavorativo, definito da papa Francesco “un crimine contro l’umanità”
Le suore impegnate contro la tratta durante un incontro a Roma

Le suore impegnate contro la tratta durante un incontro a Roma

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Hanno incominciato in trentatré. Tante erano le partecipanti al seminario di formazione organizzato dall’Ambasciata statunitense presso la Santa Sede e dall'ufficio anti-tratta dell'Unione italiana delle superiore maggiori (Usmi) nel 2007. Trentatré suore, di ventisei Paesi differenti, riunite dal proposito evangelico di contribuire a combattere la schiavitù del Ventunesimo secolo.

Sono state loro a lanciare, al termine dell’incontro, il 20 ottobre di dieci anni fa, la Rete internazionale delle religiose contro la tratta di persone (Inratip), la prima “alleanza globale” contro questa piaga. Il lavoro di quelle pioniere ha fatto da apripista ad altre reti – Anath, Renate, Talitha Kum – impegnate nella prevenzione e nel recupero delle vittime di sfruttamento sessuale e lavorativo, definito da papa Francesco “un crimine contro l’umanità”.

Dieci anni dopo, “guardando e riflettendo sul cammino fatto e sugli obiettivi raggiunti notiamo con riconoscenza che molto è stato fatto, dal termine di questo primo convegno di religiose a livello mondiale, ma pure che molto rimane ancora da fare. Purtroppo cambiano le modalità, le situazioni e le strategie sociali mentre la violenza sulle donne e minori non sembra diminuire affatto”, scrivono suor Eugenia Bonetti, presidente di Slaves no more, e Amy Roth Sandrolini, prima coordinatrice all’Ambasciata Usa e ora impegnata nel contrasto al traffico di esseri umani negli Stati Uniti.

Se, nel 2007, inuovi schiavi” – in gran maggioranza “schiave” – erano 12,3 milioni ora sono 21. I profitti del business sono quintuplicati in un decennio, passando da 32 a oltre 150 miliardi di dollari. “Il punto cruciale rimane pur sempre la “domanda” che sfrutta situazioni di estrema povertà, ignoranza e corruzione delle persone più indifese e a rischio per cui è ancora tanto ed urgente il lavoro da fare”, sottolineano le due attiviste. Per tale ragione, come l’esperienza di quel primo seminario insegna, è ancora più necessario lavorare in rete. Solo, così, “in comunione e non in competizione – concludono - potremo annientare questa schiavitù moderna dalle pagine dei libri, dalla nostra cronaca e dalla nostra storia”.

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