mercoledì 7 aprile 2021
I legali di Andrea e Giacomo hanno querelato il colosso americano dell'intrattenimento on demand per diffamazione aggravata: «Così la memoria di nostro padre Vincenzo è stata calpestata e falsificata»
Andrea Muccioli, figlio di Vincenzo, in una foto scattata a San Patrignano nel 2010

Andrea Muccioli, figlio di Vincenzo, in una foto scattata a San Patrignano nel 2010 - Ansa

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Dalla tv alle aule di giustizia. Finirà in tribunale la serie “SanPa. Luci e tenebre a San Patrignano” firmata da Netflix, che tanto ha fatto parlare di sé negli ultimi mesi dopo le molte reazioni sollevate dal mondo delle comunità, e in particolare di quella sulle colline di Rimini. Andrea e Giacomo Muccioli, figli del fondatore Vincenzo, hanno querelato il colosso americano dell'intrattenimento on demand per diffamazione aggravata.

La serie, lo ricordiamo, è stata resa disponibile dallo scorso dicembre sulla piattaforma, rimanendo per diverse settimane tra le 10 più viste in Italia. Lunghi spezzoni di video originali degli anni Ottanta e Novanta, interviste ad amici e ragazzi della comunità di recupero per tossicodipendenti di Coriano dai primi anni fino alla morte del suo fondatore, Vincenzo Muccioli. Cinque puntate con la classica tensione narrativa della fiction, che esplorano la vita di quegli anni anche attraverso intense interviste di repertorio a Vincenzo, commentate anni più tardi dal figlio Andrea. Una serie che voleva essere «obiettiva» nell'idea dei produttori Netflix e che subito aveva indispettito la comunità e i suoi sostenitori, certi che si fosse fatta un'operazione mediatica «miope», che in alcun modo rappresentava la storia della comunità nel suo complesso.

I Muccioli, che la ritengono anche «non vera», ora sono passati all'attacco. «I figli del fondatore di Sanpa lamentano, innanzitutto, come, all'interno della docuserie, Vincenzo Muccioli venga indicato come misogino e omosessuale», spiegano gli avvocati Alessandro Catrani e Francesca Lotti. «La causa della sua morte, inoltre, viene attribuita all'Aids - precisano i legali - Ovvero ad un'infezione da Hiv, contratta a causa del suo stile di vita e dei suoi comportamenti privati. I familiari rilevano che nessuna di tali affermazioni, indiscrezioni, pettegolezzi, presentati a milioni di persone, è vera. Quindi ne lamentano la assoluta falsità». Secondo i Muccioli l'operazione mediatica si è tradotta ina una diffamazione «al di là di ogni legittima opinione sulla vita e l'operato di Vincenzo Muccioli, l'immagine e la memoria di una persona scomparsa, un grande padre ed un uomo che ha dedicato la sua esistenza al Bene, violando altresì i più elementari principi di privacy». Senza contare che la loro vita ne è stata letteralmente investita: «Dalla messa in onda della fiction la loro vita privata e quella dei loro familiari - scrivono ancora i legali - è stata travolta da continue domande, richieste da parte di amici, conoscenti, persone comuni, sulla veridicità di quanto affermato e rappresentato nella docu-serie. Si sono trovati colpiti e feriti in quanto c'è di più prezioso: memoria, reputazione e onorabilità di un padre scomparso. Diffamazione e violazione delle leggi sulla privacy sono per i famigliari di tutta evidenza».

La parola ora passerà alla magistratura, mentre nessun contatto, al momento della presentazione della querela, si sarebbe avuto con gli avvocati dei Muccioli, Letizia Moratti che con il marito Gian Marco è benefattrice di lunga data e generosità per Sanpa. I Moratti avevano preso le distanze da Netflix pubblicamente dopo il lancio della serie tv che è stata seguita pochi mesi dopo da un'altra iniziativa sulla piattaforma Mediaset Play dallo scorso 24 marzo: la video-inchiesta “La Comunità - I ragazzi di San Patrignano”, iniziativa del Gruppo Monrif in collaborazione con Mediaset, dai toni e contenuti molto diversi. Come diversa si è presentata al pubblico l'iniziativa analoga voluta dalla Rai, “Lontano da casa”.

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