giovedì 22 dicembre 2022
Viaggio nei centri di detenzione di tutto il mondo, dopo la richiesta di clemenza per Natale che Francesco ha rivolto ai Capi di Stato. Sovraffollamento ed emergenze igienico-sanitarie
Detenuti in carcere: un recluso su tre è in attesa di giudizio, quasi il doppio rispetto all’obiettivo dell’Agenda Onu  che prevede che tale quota non oltrepassi il 16,3%

Detenuti in carcere: un recluso su tre è in attesa di giudizio, quasi il doppio rispetto all’obiettivo dell’Agenda Onu che prevede che tale quota non oltrepassi il 16,3%

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«Un gesto di clemenza verso quei nostri fratelli e sorelle privati della libertà che essi ritengano idonei a beneficiare di tale misura». È questa la richiesta che papa Francesco rivolge, in occasione del Natale, a tutti i capi di Stato del pianeta. Un appello di scottante attualità perché – come rivela l’ultimo studio di Penal reform International - mai prima d’ora il numero di detenuti era stato tanto alto: 11,5 milioni di persone, il 24 per cento in più rispetto al 2000, anno in cui Giovanni Paolo II fece un’analoga petizione. A crescere con particolare rapidità è stata soprattutto la percentuale di donne - + 33 per cento -, i minori dietro le sbarre sono oltre 261mila. Sono gli Stati Uniti ad avere il maggior numero di prigionieri - due milioni -, seguiti da Cina (1,69 milioni) e Brasile (811mila).

Un recluso su tre, inoltre, è in attesa di giudizio, quasi il doppio rispetto all’obiettivo dell’Agenda Onu 2030 che, per garantire un equo accesso alla giustizia, prevede che la tale quota non oltrepassi il 16,3 per cento. La questione riguarda tutti i Paesi, in Africa e in Asia raggiunge, tuttavia, livelli macroscopici. In Nigeria, quanti aspettano il processo in carcere sono addirittura 50mila. Nella gran parte dei casi, come nel resto del Continente, si tratta di persone accusate di reati minori e con pochi mezzi per pagare la cauzione. Nel Sud del mondo spesso è la miseria stessa ad essere considerata un delitto: in 42 Paesi africani è punibile con il carcere il fatto di non avere un reddito. Mendicare è vietato in varie parti della regione.

La tendenza alle “manette facili” non solo resta in voga ma dovrebbe aumentare ulteriormente nel futuro imminente. L’anno scorso, almeno ventiquattro nazioni hanno annunciato progetti di espansione dei penitenziari, per un totale di 437mila strutture. Quasi la metà in Turchia, un quinto in Sri Lanka, i due Paesi con i maggiori complessi carcerari.

Il boom di nuove costruzioni non riesce comunque a risolvere il nodo cronico del sovraffollamento, dato l’incremento del ritmo degli arresti. In 121 Stati, le prigioni operano ben oltre la propria capacità massima, in 13 addirittura le persone “in eccesso” sono più del 250 per cento. «Sovraffollamento e mancato rispetto degli standard minimi igienico-sanitari sono i due drammi che maggiormente rendono difficile la vita dei detenuti», afferma Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. Nel pieno della pandemia, l’Ong aveva chiesto ai governi di ridurre la concentrazione dei reclusi per arginare il contagio, attraverso il ricorso alle misure alternative. Qualche Paese – come Ecuador, Sudafrica, Indonesia, India, Cina, Regno Unito, Cile, Bulgaria, Congo, Turchia, Egitto, Iran, Nepal e la stessa Italia – si è mosso, pur con estrema lentezza, in tale direzione, con provvedimenti, tuttavia, frammentari e temporanei. Appena usciti dalla fase acuta della tempesta Covid, ovunque, si è assistito a un ritorno al vecchio sistema di incarcerazione di massa. «Purtroppo – aggiunge Noury -, il ricorso alla reclusione continua ad essere considerato come il solo strumento per garantire la sicurezza. Il che determina una congestione delle strutture e questo espone i detenuti a rischi per la salute fisica e mentale, spesso letali». Non a caso, il tasso di mortalità dietro le sbarre è più alto del 50 per cento rispetto al fuori. «Alle condizioni indegne, poi, si aggiungono abusi e torture, sistematici in alcuni Paesi», aggiunge il portavoce di Amnesty che sottolinea, in particolare, tre casi preoccupanti: El Salvador, Egitto e Iran. Da quando, lo scorso marzo, il presidente Nayib Bukele ha proclamato lo stato di emergenza, 57mila persone sospettate di avere relazioni con le “maras”, le feroci bande locali, sono finite in cella, il 2 per cento degli adulti. Ormai, il tasso di incarcerazioni in rapporto alla popolazione ha battuto gli Usa per diventare il più alto del mondo.

«In Egitto, si contano almeno 7mila detenuti per ragioni di coscienza. L’Iran ha attuato tra i 16mila e i 18mila nuovi arresti dall’inizio delle proteste. Scelte che hanno incrementato ulteriormente il sovraffollamento». In questi tre Paesi le morti in carcere per mancanza di cure sono all’ordine del giorno. «Purtroppo, si sta affermando una narrativa riguardo ai diritti umani estremamente pericolosa. Questi ultimi non sono considerati innati bensì “si meritano”. Quelli dei detenuti, per definizione poco meritevoli in base agli standard tradizionali, possono essere ridotti o violati – conclude Noury –. Per questo, le parole di papa Francesco sono tanto importanti».

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