mercoledì 25 novembre 2009
Ancora guerra di cifre tra governo e toghe sulle possibili prescrizioni, ma i dati reali sembrano più vicini di quanto non appaia. Il Consiglio superiore della magistratura: quasi metà delle cause civili possono estinguersi. Tra i reati più colpiti la corruzione, la truffa, quella per colpa medica e contro la famiglia.
Schifani e Mancino: «Abbassare i toni sulla giustizia»
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Fino al 40% nel penale, quasi il 50% nel civile: tanti sono, a oggi, i procedimenti di primo grado che si estinguerebbero con la legge sul processo breve, secondo i dati diffusi ieri dal Consiglio superiore della magistratura. Tra i reati più estinti figurerebbero la corruzione, la truffa, quelli per colpa medica e contro la famiglia. «Non basta che il processo sia breve, serve che sia giusta la decisione», ha commentato Nicola Mancino, vicepresidente dell’organo di autogoverno delle toghe. Le percentuali – che riguardano i tribunali di Roma, Milano, Torino, Napoli, Palermo, Venezia, Bologna, Bari, Reggio Calabria – non si discostano molto da quelle annunciate lunedì dall’Associazione nazionale magistrati, che però ha fatto riferimento soltanto ai processi penali. Ma, a ben vedere, non sono troppo differenti nemmeno da quelli forniti dal ministro della Giustizia Angelino Alfano alla Camera, il 19 novembre: dei 94mila processi di primo grado in corso da oltre 2 anni, aveva detto, quelli interessati sarebbero «poco più della metà» (perché gli altri hanno imputati recidivi), dai quali bisogna però sottrarre tutti i numerosi casi in cui, per tipo di reato, la norma non potrebbe essere applicata. Alla fine – aveva sottolineato il guardasigilli – «si può stimare che si prescriverà circa l’1% del totale dei processi penali pendenti oggi, senza calcolare l’incidenza delle assoluzioni». Non l’1% dei processi pendenti in primo grado (quelli interessati dal ddl Gasparri), ma «del totale», cioè di 3 milioni e mezzo circa: il risultato sarebbe più o meno 35mila. Nessuna delle parti in causa, tuttavia, sembra aver fatto i conti. Così, malgrado le precisazioni di Mancino («non abbiamo nessuna volontà di contrapposizione»), la guerra dei numeri continua.Donatella Ferranti, che del Csm è stata a lungo segretario generale e ora è deputato del Pd, ha invitato il ministro Alfano «a rivedere le sue stime». Il consigliere togato Giuseppe Maria Berruti ha affermato che «nel civile sarà un disastro totale dappertutto». In questo settore, nessuno dei capi degli uffici giudiziari sentiti a Palazzo dei Marescialli ha indicato in meno del 20% la percentuale di processi destinati all’estinzione, fino ad arrivare al 47% nei casi peggiori. Il presidente dell’Associazione magistrati Luca Palamara ha confermato la «validità» dei suoi dati, in base ai quali «rischia di saltare il 50% dei processi a Roma, Bologna e Torino e il 20-30% a Firenze, Napoli e Palermo». Alfano, da parte sua, continua a non credere «che l’Anm abbia potuto dire che su 3 milioni e 300mila processi pendenti, la metà, cioè 1 milione e 700mila andrebbero perduti. È una cifra iperbolica e infondata». O forse è il frutto di un difetto di comunicazione (lo stesso ministro ha parlato di «corto circuito comunicativo») piuttosto grave e continuato. Tornando al Csm, secondo alcuni consiglieri è facile prevedere che contro la legge sul processo breve arriveranno «una marea di ricorsi alla Corte costituzionale». Prima però, c’è l’esame del testo in Parlamento. Ieri il segretario del Pd Pier Luigi Bersani ha proposto alla maggioranza di ritirare il disegno di legge, garantendo per il resto la massima disponibilità al confronto sulle riforme della giustizia. Ma ha incassato subito la chiusura del governo: secondo il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti, Bersani propone un «brutto, vecchio film che nasconde la solita tentazione della sinistra di liberarsi dell’avversario per la via giudiziaria». Il presidente della Camera Gianfranco Fini ha cercato di smussare i termini della questione: «Il processo breve non è la riforma della giustizia – ha chiarito –. Evitiamo, ogni volta che c’è un intervento, di dire che c’è uno scontro sulla giustizia. La riforma della giustizia, è la riforma della Costituzione nella parte che riguarda il sistema giudiziario». Fini, comunque, non vede nulla di scandaloso nell’accorciare i tempi: «Si può discutere sulla bontà del provvedimento in discussione al Senato, ma è indiscutibile che in Italia i processi sono troppo lunghi e che siamo stati condannati dall’Europa per questo».
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