venerdì 15 novembre 2019
Ministero e Caritas firmano un protocollo per diffondere sul territorio la “messa alla prova” Gli imputati maggiorenni potranno svolgere servizi di pubblica utilità in parrocchie e associazioni
Intesa per la messa in prova dei carcerati
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Offrire agli imputati maggiorenni in “messa alla prova”, la possibilità di svolgere servizi di pubblica utilità in favore della promozione della collettività. Questo l’obiettivo del protocollo firmato ieri dal Capo di Gabinetto del Ministero della Giustizia, Fulvio Baldi (in rappresentanza del ministro Alfonso Bonafede) e dal presidente della Caritas Italiana, l’arcivescovo Carlo Roberto Maria Redaelli, per promuovere questa misura alternativa al carcere, in linea con un modello di giustizia di comunità di stampo europeo. Già ora, una trentina di Caritas diocesane, sulle 218 presenti in tutta Italia, stipulano convenzioni con il Ministero per realizzare percorsi di reinserimento sociale attraverso la modalità della “messa alla prova”. «Con questo protocollo – sottolinea il direttore della Caritas Italiana, don Francesco Soddu – incoraggiamo tutte le Caritas diocesane, ma anche le parrocchie, a portare avanti questo discorso di alta civiltà».

Secondo quanto previsto dall’accordo, le attività in favore della collettività potranno svolgersi sia nelle sedi della Caritas, sia in enti, come parrocchie, oratori, onlus, organizzazioni di volontariato, associazioni sportive, comitati e associazioni di solidarietà familiare, convenzionati con la Caritas locale. I progetti di lavoro di pubblica utilità terranno conto delle specifiche professionalità e delle attitudini personali degli imputati ammessi alla prova.

«Sicuramente – aggiunge don Soddu – questa intesa va controcorrente, rispetto ad una logica esclusivamente securitaria, ma è senz’altro nel solco della Costituzione. La pena non deve essere soltanto coercitiva, ma deve tendere alla rieducazione e al recupero sociale del detenuto. Che, in questo modo, ha anche la possibilità di avvicinare mondi, come quello del volontariato, che altrimenti non avrebbe forse mai nemmeno conosciuti».

Durante la sottoscrizione dell’accordo, l’arcivescovo Redaelli ha sottolineato «l’attenzione della Caritas nei confronti della realtà carceraria che deve sempre mantenere un rapporto con il mondo esterno, con la società». Il presidente della Caritas Italiana ha anche ringraziato il ministro Bonafede per la «positiva esperienza e per il sostegno assicurato al protocollo». Anche per il Guardasigilli, progetti come questo «favoriscono negli autori di reato una reale consapevolezza rispetto agli errori commessi e al danno causato alla collettività con i proprio comportamenti. Il lavoro e a maggior ragione il lavoro al servizio della collettività e del bene comune, resta lo strumento più efficace per il pieno reinserimento sociale».

Tra le finalità perseguite dall’accordo, ci sono, infatti, «risarcire la società per il danno subito, favorire la consapevolezza dell’imputato circa le responsabilità derivanti dalla sua condotta e la promozione di valori essenziali quali la responsabilità, la solidarietà, la gratuità e il dono, l’altruismo, la promozione umana e culturale».

In altri termini, un obiettivo rilevante dell’accordo è «creare luoghi in cui tutti prendano parte attiva alla costruzione del bene comune, accompagnando e facilitando le realtà locali». L’opportunità di mettersi al servizio di chi soffre, prendere coscienza dei propri bisogni attraverso il contatto con le marginalità sociali incontrate nei luoghi in cui si svolgono i lavori di pubblica utilità, offre infatti la possibilità di recuperare i valori fondanti della società civile.

«La firma del protocollo – commenta Gemma Tuccillo, Capo dipartimento per la giustizia minorile e di comunità - rappresenta un altro passo importante ma soprattutto un segnale del fatto che realmente la messa alla prova comincia a dare risposte positive. Ed è ancora più importante perché un interlocutore come la Caritas garantisce effettivamente una diffusione di queste opportunità di lavoro sull’intero territorio nazionale. Che poi è il nostro obiettivo: quello cioè di riuscire a sostenere e integrare le opportunità anche in quei territori che per le più svariate ragioni, hanno minori risorse».

La capillarità di diffusione di queste opportunità sul territorio, aggiunge Tuccillo, «riveste una importanza particolare: le sedi della Caritas sono tante, gli organismi collegati anche, di conseguenza le opportunità di lavoro. La ramificazione sull’intero territorio ci rasserena molto per la implementazione della misura della messa alla prova anche in quelle zone del Paese dove è più difficile incrementarla per una più ridotta disponibilità di risorse».

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