domenica 21 agosto 2022
Ad essere ristrette sono 2.307 su un totale di circa 55mila detenuti, il 4,1% del totale. Solo un quarto di loro è nelle 4 case di reclusione femminile
Solo una donna su 4 è ospitata in un istituto di reclusione femminile

Solo una donna su 4 è ospitata in un istituto di reclusione femminile - .

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In un’estate tragica per le carceri italiane (dove a oggi 52 persone si sono tolte la vita) alcuni fatti di cronaca hanno portato l’attenzione su un’area dell’universo carcerario che solitamente ottiene poca attenzione: la detenzione al femminile. La giovane Donatela Hodo il 1° agosto a Verona e una 36enne (di cui non sono note le generalità) nella casa di reclusione di Roma Rebibbia il 30 luglio portano a tre il numero delle donne che si sono tolte la vita nelle carceri da inizio anno.

I dati del ministero della Giustizia (al 31 luglio 2022) evidenziano come il carcere sia un mondo prevalentemente maschile: le donne ristrette sono 2.307 su un totale di circa 55mila detenuti, il 4,1% del totale. Una percentuale che, in 20 anni, è rimasta stabile come sottolinea l’associazione Antigone; solo tra il 1991 e il 1993 il dato ha superato il 5%, dunque al di sotto della media europea, pari al 5,3% secondo le ultime statistiche del Consiglio d’Europa.

Un quarto delle donne detenute è ristretto nelle quattro case di reclusione femminile del Paese: Pozzuoli (153 le presenze al 31 luglio 2022 a fronte di una capienza di 105 posti), Trani (41 presenze per 32 posti), Venezia 'Giudecca' (72 presenze per 111 posti) e Roma 'Rebibbia' che, con 325 presenze (a fronte di una capienza ufficiale di 263 posti) è il carcere femminile più grande d’Europa. Tutte le altre detenute sono “sparse” nelle 48 sezioni dedicate nelle carceri maschili: «In questi casi i numeri variano molto: si va da Milano dove ci sono circa 100 presenze femminili ad altre realtà in cui le sezioni dedicate ospitano piccoli gruppi di detenute », sottolinea Susanna Marietti, coordinatrice di Antigone.

La detenzione in un istituto pensato e abitato in larga maggioranza da uomini comporta una serie di problemi per le donne: «Dei 24 istituti con donne detenute visitati da Antigone nel 2021 il 62,5% disponeva di un servizio di ginecologia e il 21,7% di un servizio di ostetricia», si legge nel rapporto annuale dell’associazione.

Ma le criticità non sono solo strutturali: «Quando il numero delle donne rinchiuse nelle sezioni dedicate è ridotto, le detenute sono particolarmente penalizzate: le attività trattamentali sono 'spostate' verso il gruppo più numeroso, che è quello maschile – continua Marietti –. Proprio per evitare questa eccessiva marginalizzazione, l’ordinamento penitenziario in vigore dall’ottobre 2018 prevede esplicitamente che le donne ospitate in istituti maschili debbano essere 'un numero tale da non compromettere le attività trattamentali'». Ci sono poi tutta una serie di problemi legati alla tutela della loro salute.

«Per le donne il carcere è particolarmente afflittivo: molte sono madri e hanno i figli all’esterno. Per questo è importante non interrompere i legami familiari – commenta Gabriella Stramaccioni, garante dei detenuti del Comune di Roma –. Un’altra grossa difficoltà è l’accesso alle cure mediche e agli esami preventivi. Recentemente abbiamo accompagnato una giovane donna cui hanno tardato a fare un accertamento e ora ha un tumore a entrambi i seni. Certamente le difficoltà legate alla pandemia hanno avuto un peso, ma se la sua condizione fosse stata affrontata in tempo non si troverebbe in questa situazione». Altro tema cruciale è quello del lavoro, che può rappresentare un’importante occasione di riscatto per le detenute.

«Molte delle donne e delle ragazze che incontriamo non avevano esperienze lavorative al di fuori del carcere o venivano sfruttate: per questo le esperienze lavorative o di formazione professionale hanno un grandissimo successo con loro – spiega Stefania Tallei, volontaria della Comunità di Sant’Egidio nelle carceri romane –. In generale, penso che il carcere femminile sia da ripensare: si tratta di strutture troppo “maschili” che non tengono conto delle esigenze specifiche delle donne, ad esempio quelle in gravidanza».

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