mercoledì 19 marzo 2025
Un mese fa a Milano un gruppo di papà di figli adolescenti ha iniziato a incontrarsi e confrontarsi senza filtri su ciò che stanno vivendo. Il viaggio li porterà a incontrare altri figli, in carcere
Uno degli incontri tra i papà milanesi che stanno partecipando al progetto "Alla ricerca del padre"

Uno degli incontri tra i papà milanesi che stanno partecipando al progetto "Alla ricerca del padre" - .

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Le sedie sistemate in cerchio, i fogli di presentazione appesi a un filo con delle mollette, gli sguardi un po’ interrogativi, un po’ timorosi. Un mese fa a Milano 18 padri di figli adolescenti hanno cominciato a incontrarsi. L’hanno fatto in vista di oggi, un 19 marzo un po’ speciale. Primo, perché lo passeranno nel carcere di San Vittore, protagonisti di un ambizioso progetto (lo spieghiamo in calce a questo articolo) che nelle prossime settimane li vedrà incontrare una ventina di giovani e giovanissimi detenuti – figli, anche se non loro – e confrontarsi su che cosa sia la paternità, che cosa l’autorità, su come si cresca e si diventi uomini lungo l’argine scivolosissimo che corre tra il bene e il male, il giusto e lo sbagliato, la ragione e la colpa. Secondo, perché per arrivare fin lì hanno dovuto iniziare un viaggio alla ricerca del padre. Il padre che loro sono, o non sono, quello che vorrebbero diventare, quello che hanno avuto e da cui hanno imparato – volenti o nolenti – ad essere a loro volta padri.

Questa è la storia di un esperimento sociale, in un tempo che sulla radice e la condizione del maschile si interroga a ogni piè sospinto e in un mondo paralizzato davanti alla frattura profonda nei rapporti intergenerazionali, che sempre più spesso lascia i ragazzi soli di là e i genitori frustrati di qua. A raccontarla c’è Samuele, sessant’anni, coi suoi quattro figli (il più grande di 26 anni, il più piccolo di 15, Susanna che è mancata nel 2008) e la necessità di far pace col suo essere un «padre anziano, con quell’atteggiamento di «asimmetria educativa» che tante volte gli ha fatto credere di potersi comportare allo stesso modo con tutti i suoi figli «perché ci ero già passato, perché l’avevo fatto prima. E invece no, erano diversi loro, ero diverso io». C’è Francesco, col suo Daniele di 15 anni in affido, la sfida di inventarsi padre dopo un altro (che padre non è stato), il timore di non essere all’altezza, di non riuscire a curare le sue ferite, di non fargli capire «che siamo simili, che so e capisco cosa ha vissuto». C’è Alessandro coi suoi Lorenzo e Hui, 22 e 16 anni, che si sente «un cantiere mai finito», col desiderio di far quadrare il “cerchio padre-figlio”, come lo chiama lui. E poi Luca, che un padre non l’ha avuto ed è convinto si possa “funzionare” da padri (e da madri) pur non avendolo imparato da nessuno; Davide, con le difficoltà del suo piccolo, amatissimo Matteo e la sensazione di essersi chiuso in una torre, «di non riuscire nemmeno io a volte a comunicare con l’esterno»; Antonio, che ha accettato come padre dei suoi figli il nuovo compagno della sua ex moglie, diventando a sua volta padre del piccolo che i due hanno avuto insieme, scoprendo che si può essere padri in due; Fabio, che improvvisamente non riconosce più la più grande dei suoi tre figli, chiusa in se stessa nella sua cameretta e nel disordine del diventare grande. E ancora Giuseppe, Dino, Ludovico, Andrea, Riccardo, Lorenzo, Paolo.

Dimenticate il padre “padrone”, autoritario, che non deve chiedere mai, il padre che reclama pieni diritti sui figli, che detta regole e dispensa giudizi. In comune, al centro del cerchio, c’è da subito la fatica, la solitudine, il brancolare nel buio davanti all’adolescenza. E il bisogno di dirlo, di urlarlo. Se 18 padri (18 uomini alle prese con la paternità) sono un campione anche solo minimamente significativo di quello che sta accadendo agli altri 20 milioni, l’Italia al momento è alle prese con un black out. Mancano risposte. Mancano coordinate. Figli e figlie stanno oltre la linea dell’orizzonte, con la loro alterità: l’adolescenza cioè (che dell’adolescenza del passato mantiene tutte le caratteristiche: il cambiamento, la ribellione, la conflittualità, l’emancipazione) parla un linguaggio quasi del tutto incomprensibile agli adulti, fatto di relazioni virtuali e tecnologizzate, in cui alla strada s’è sostituito il telefonino coi social network e al desiderio di libertà e di esperienze nuove la noia, il disinteresse, l’allergia al dialogo. Niente di nuovo, si dirà. Ma lontano dalle chiacchiere dei trattati di sociologia e dei giornali, quanto pesa.

I fogli appesi con le presentazioni dei padri e il motivo per cui hanno deciso di iniziare il loro viaggio di ricerca

I fogli appesi con le presentazioni dei padri e il motivo per cui hanno deciso di iniziare il loro viaggio di ricerca - undefined

I padri disegnano, nella grande stanza fredda di via degli Olivetani, ragazzi tenuti insieme da lunghi fili attaccati agli schermi, piegati sui tasti, lontani dal gioco e dall’avventura. Loro – che a 15 anni invece suonavano i campanelli, mettevano da parte i soldi per viaggiare e si litigavano le fidanzate all’oratorio – si costruiscono come fari, come ombrelli, come scale: vorrebbero essere un punto di riferimento per i figli, vorrebbero proteggerli, vorrebbero costruire un ponte che li rimetta e li tenga in contatto. Spesso non ci riescono, spesso esagerano nell’insistere, spesso osservano le madri farlo e soffrono.

Cosa conosci di tuo figlio? «Improvvisamente mi sembra di non conoscere più nulla» rispondono Fabio e Francesco. Il gioco dell’infanzia, le passioni, i talenti, tutto si mescola senza prendere una forma: e non c’è una scuola, per essere padri, anche se Francesco ogni tanto usa il “metodo-nonno” «e obbligo Dani a fare cose con me. Io, con mio padre, mi arrabbiavo perché non ne avevo voglia. Ma poi col tempo ho capito che da quei momenti ho imparato tantissimo». Andrea coi ragazzi scia e quando parte per i suoi viaggi sta con loro per ore al telefono la sera, Riccardo ci va a pesca, Francesco a camminare: «A volte mi fanno ascoltare la loro musica. Che è orribile, ma non importa».

Che cosa vorresti conoscere di loro? Che cosa vorresti che conoscessero di te? «Mi piacerebbe sapere che cosa pensano davvero di me, mi piacerebbe che vedessero come siamo stati simili» dice Dino. «Io vorrei conoscere il loro buio, che loro entrassero nel mio. Sogno che un giorno salgano in soffitta di nascosto ad aprire le mie scatole, per scoprire chi sono stato io» aggiunge Samuele. Giorgio vorrebbe «semplicemente capire quello che stanno cercando di dirmi, perché spesso ho la sensazione che sia mio il limite, mio l’errore». Antonio «sapere che cosa pensano di questi 12 anni di separazione, che avessero visto e vedessero la mia paura». E di paura ne hanno tanta, i padri. «La mia è di non essere presente abbastanza nella loro vita – racconta Ludovico –. Temo di vivere tanto “per” loro e molto poco “con” loro. Un po’ è per colpa mia, un po’ perché nella divisione dei compiti con la madre, a lei tocca la cattedra e a me la supplenza». «Io temo invece di non avere il coraggio che serve – racconta Alessandro –. Una figlia che ruba a suo padre i soldi dal portafoglio è un’estranea, mi dico, e mi allontano. Poi la cosa mi porta a guardarla con indulgenza, con tenerezza anche, nel nero c’è il bianco, e rieccomi lì accanto a lei. A volte ho paura di non riuscirci, di perderla».

La valigia simbolicamente sistemata al cento del cerchio dei padri con dentro le loro riflessioni scritte, i libri proposti e scambiati, gli oggetti simbolici del loro viaggio insieme

La valigia simbolicamente sistemata al cento del cerchio dei padri con dentro le loro riflessioni scritte, i libri proposti e scambiati, gli oggetti simbolici del loro viaggio insieme - .

Incontro dopo incontro la stanza si riempie di colori, si diventa tutti un po’ più sicuri. Giuseppe lo sa bene, perché lui di un altro gruppo di padri fa parte già da tempo, a Monza: si chiamano “Papà, chiacchiere e fornelli”, contro ogni stereotipo si incontrano una volta ogni tre settimane per cucinare (sì) e raccontarsi quanto è difficile, il loro “mestiere”. Ha invitato gli altri a partecipare, un gruppo che si unisce a un gruppo, «a maggio ci sarà anche il terzo cerchio nazionale degli uomini consapevoli» racconta agli altri, spiegando che l’esperienza è significativa, che alla ricerca del padre – in fondo – sono in tanti. Ed è una buona notizia, molto poco raccontata (qui tutte le informazioni).

Cosa scriveresti a tuo figlio per la Festa del papà? «Cari ragazzi, il 19 marzo è la festa di quello che tappa i buchi, per me. Un ruolo che vivo consapevole dei miei limiti e di mancare spesso alle vostre aspettative – spiega ancora Ludovico –. Ma di cui vado pure orgoglioso, perché non mollo mai. Ci sono e ci sarò sempre, defilato magari, ma perennemente lì». Presente, perché nella presenza di un padre il figlio (ogni figlio) possa continuare a ritrovare il punto fermo che gli serve per riconoscersi. E se fosse anche il primo passo per un cambio di modello? Se servisse, a tutti i figli sperduti del nostro tempo, ritrovarsi in un padre?


Gli incontri fuori. E poi quelli “dentro”, a cominciare da oggi e fino a sabato 10 maggio. È il percorso, e l’impegno che stanno affrontando 18 padri milanesi con figli dai 13 ai 18 anni che hanno accettato la sfida “Alla ricerca del padre”, pensata da Lo Strappo – Quattro chiacchiere sul crimine e il Gruppo della trasgressione, in collaborazione con la Direzione della casa circondariale di Milano San Vittore, il Gruppo scout Agesci Milano 34 e l’appoggio degli psicoterapeuti Ondina Greco e Angelo Aparo. Al progetto “Avvenire” è stato invitato a partecipare fin dal principio, col compito di raccontarne gli imprevedibili risultati sul fronte educativo: continueremo a farlo nei prossimi mesi. Oggi intanto le voci dell’essere genitore o figlio al di qua e al di là delle sbarre si incontreranno in un’inedita Festa del papà che la trasmissione “Caterpillar” materializzerà, a Milano, tra gli studi di corso Sempione e l’aula bunker del carcere di San Vittore in una puntata speciale in onda dalle 18 su Rai Radio 2 e anche in visual radio sul canale 202 e poi su RaiPlay.


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