mercoledì 11 novembre 2020
La sentenza della Corte d'assise di Catanzaro per l'omicidio del giovane colpito a fucilate mentre raccoglieva in una ex fornace le lamiere per la sua baracca a San Ferdinando
Un amico regge il ritratto di Soumaila Sacko

Un amico regge il ritratto di Soumaila Sacko - Archivio

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Giustizia per Soumaila Sacko, il bracciante maliano di 29 anni, ucciso due anni fa. Questa sera la Corte d'assise di Catanzaro ha condannato a 22 anni di reclusione Antonio Pontoriero, 45 anni, che il 2 giugno 2018 sparò contro il giovane che con due amici stava raccogliendo alcune lamiere nell’area dell’ex fornace "La Tranquilla", nel comune di San Calogero nel Vibonese. Gli servivano per rinforzare la sua baracca nel grande ghetto di San Ferdinando. Perchè Soumaila, lavoratore immigrato, regolare ma sfruttato, non aveva di meglio dove vivere, così come i più di duemila ammassati nell'indegna baraccopoli, sgomberata e abbattuta nel marzo 2019, senza però offrire vere alternative.

Pontoriero sparò alcuni colpi di fucile colpendo Soumaila alla testa e un altro ragazzo a una gamba. Considerava l'area come propria l’area pur non avendone alcun titolo. L'ex fornace era, infatti, sotto sequestro, e di fatto abbandonata, dopo il ritrovamento di 135mila tonnellate di rifiuti industriali interrati. Una vicenda per la quale è ancora in corso il processo. Ma per lo "sparatore" era roba sua e per questò colpì più volte, spostandosi per poter prendere meglio la mira. Fu omicidio volontario, ha sentenziato la Corte, accogliendo la tesi dell'accusa che però aveva chiesto 30 anni. È giustizia, dunque, per un giovane, padre di una bambina di cinque anni rimasta nel Mali con l'altrettanto giovane moglie, impegnato nel difendere i diritti dei braccianti.

Aveva visto la morte da vicino quattro volte. Prima in mare, salvato da un naufragio mentre cercava di raggiungere una nuiva vita. Ma poi aveva trovato solo la baraccopoli di San Ferdinando. E anche qui la morte lo aveva sfiorato. Due volte la sua baracca era stata distrutta dalle fiamme. Il 3 luglio 2017 e il 27 gennaio 2018, quando un grande incendio aveva ucciso la giovane Becky Moses. Soumaila era invece riuscito a salvarsi. Ma proprio per questo aveva deciso di rinforzare la sua baracca con delle lamiere. E proprio per quelle è stato ucciso.

Dopo aver corso il rischio di morire per malasanità. Come ci raccontò don Roberto Meduri, parroco a Rosarno da anni accanto agli immigrati, che lo conosceva bene, Soumaila si era sentito male, con dolori fortissimi alla pancia. Invano per giorni era stato chiamato il 118, ma non gli volevano credere. Allora don Roberto lo aveva accompagnato all’ospedale. Aveva un’ulcera perforata. Operato d’urgenza era poi rimasto in ospedale più di due settimane. E anche quella volta Soumaila ce l’aveva fatta. Per un soffio. Ed era tornato alla sua baracca.

Pochi giorni prima di essere ucciso aveva avuto finalmente la notizia di un prossimo vero e sicuro contratto. Troppo tardi. Ma la sua vita si è fermata, bersaglio di colpi di fucile. A terra agonizzando per ore. Poi la corsa dell'ambulanza fino a Reggio Calabria. Invano. Oggi almeno, la giustizia è arrivata.


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