sabato 9 giugno 2018
Il maliano voleva una baracca di metallo perché «meglio morire di caldo che bruciati». Il campo di San Ferdinando è rinato dalla ceneri dopo il il rogo di gennaio, oggi ci sono 800 africani
Nel ghetto di Soumaila una lamiera vale la vita
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Lamiere, un mare di lamiere. Le stesse per le quali è stato ucciso Soumaila Sacko. Questo è diventata la tendopoli/ baraccopoli di San Ferdinando dove viveva il giovane del Mali.

Solo la sua piccola baracca, proprio all’ingresso dell’insediamento, è ancora di legno e plastica. La si riconosce subito perché gli amici hanno attaccato una sua foto. «Voleva fare il tetto con le lamiere, per questo era andato in quella fabbrica abbandonata», ci racconta il cugino Kanagi Turè. Le lamiere sono l’unica novità della baraccopoli rinata per l’ennesima volta dalle ceneri dopo lo spaventoso incendio del 27 gennaio che si portò via la vita di Backy Moses e centinaia di baracche. Ora l’area si è di nuovo riempita di tante costruzioni precarie, ma metalliche.

«Così è più difficile che brucino », spiega Kanagi. Ma d’estate farà caldissimo lì dentro. «Meglio il caldo del fuoco», è la secca risposta di Musa, altro giovane maliano. Quattro mesi fa c’erano più di 2.300 lavoratori africani, oggi sono circa 800 – dicono le Forze dell’ordine. Altri 460 si trovano nella nuova ed efficiente tendopoli, aperta dalla Prefettura di Reggio Calabria nell’estate 2017. Ancora 300 in un capannone industriale abbandonato e occupato da anni. Un secondo capannone, utilizzato dopo l’incendio e che era arrivato ad ospitare altre 300 persone, è stato sgomberato e riconsegnato al proprietario, un imprenditore di casse da morto.


Tra la vecchia e la nuova tendopoli c’è un terzo insediamento di tende blu della Protezione civile. Realizzato a febbraio dopo l’incendio, doveva ospitare chi aveva perso la baracca. Ma non ha mai raccolto i favori dei migranti. Senz’acqua e senza luce è una sorta di limbo tra l’inferno della baraccopoli e il paradiso (si fa per dire...) della nuova tendopoli. Insomma ancora ghetto. «Non ci piace vivere così, tutti vorremmo una vita più bella. La tenda non è bella. Vorremmo una casa ma come facciamo? », denuncia ancora Musa. E poi spiega, quasi da esperto di diritto del lavoro: «Soumaila lavorava, aveva un contratto, ma con 25 euro al giorno come puoi pagare l’affitto, l’acqua, la luce? Per questo viviamo nelle baracche. Per questo erano là a prendere le lamiere».

Poi spiega i trucchi degli imprenditori: «Ci fanno il contratto per due giorni lavorativi, ma poi lavoriamo per 26; scrivono 45 euro al giorno, ma ce ne danno 25». Però non è ovunque così. Musa ne è stato testimone: «Per due mesi ho lavorato a Saluzzo a raccogliere le pesche. Nel contratto scrivevano 55 euro al giorno e 55 mi davano. Così potevo pagare l’affitto di una casa ». Poi è tornato a San Ferdinando. Ancora baracche, anche se metalliche.



Oggi c’è movimento nell’area. Infatti è in visita una delegazione del Pd guidata dal presidente Matteo Orfini. «Non si può sparare così come a un animale – si sfoga il cugino di Soumaila –. Vogliamo giustizia. Ma prima di tutto vogliamo che la sua salma vada in Africa e la famiglia sia aiutata: aveva una figlia di appena 5 anni!». Orfini assicura che farà qualcosa per loro. Poi spiega: «Siamo qui non solo per esprimere la nostra solidarietà, ma anche per ribadire l’impegno per cercare di risolvere una situazione di sofferenza che qui si vede a occhio nudo. La tendopoli non può rappresentare la soluzione e questa baraccopoli poi è un luogo inaccettabile».

Non manca una stoccata: «Siamo qui anche per chi sarebbe dovuto esserci e non c’è. Matteo Salvini non è solo indegno del suo ruolo, è disumano». Una risposta al ministro dell’Interno che sulla sua visita in Calabria ha detto: «Vado a prendere mia figlia all’asilo che è vicino, e quindi mi è più comodo Como che Vibo». Sul fronte delle indagini resta in carcere Anto- nio Pontoriero, il 43enne di San Calogero accusato dell’omicidio. Lo ha deciso il gip Gabriella Lupoi dopo l’interrogatorio nel quale l’agricoltore ha respinto le accuse. Il gip scrive: «Si è trattato di un’azione volta a contrastare le continue sottrazioni di materiale poiché confliggente con gli interessi economici attestatisi di fatto sul materiale presente nell’ex Fornace, ancora commerciabile e comunque riutilizzabile dalla famiglia Pontoriero».

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