mercoledì 11 giugno 2025
L'aereo con i piccoli pazienti è atterrato alle 23.10. Ad accompagnare il bimbo, la madre Alaa al-Najjar, pediatra, che ha perso altri nove figli e il marito nel bombardamento sulla Striscia
Alcuni parenti di Adam in attesa dell'aereo, protetti dal personale Areu. La sorella della mamma, con il cappellino nero.

Alcuni parenti di Adam in attesa dell'aereo, protetti dal personale Areu. La sorella della mamma, con il cappellino nero. - Lucia Bellaspiga

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Aeroporto di Linate, Sezione militare. È ormai tarda sera quando i due bianchi occhi sgranati dell'aereo militare italiano atterrano sulla pista con il loro carico di vite da ricostruire qui in Italia. A bordo c'è anche Adam, 11 anni, l'unico bambino sopravvissuto
della nidiata di 10 fratellini, nove uccisi nel raid israeliano del 23 maggio sulla Striscia
. Con lui c'è sua mamma Alaa, pediatra all'ospedale di Gaza, la donna che ha scelto l'Italia per curare il suo unico figlio rimasto in vita. Sulla pista in attesa da ore ci sono il ministro degli Esteri Tajani e l'assessore al Welfare della Lombardia Bertolaso. Ma anche la sorella di Alaa, venuta dal Canada: non si vedono dal 2013, conoscerà questa sera Adam, non conoscerà mai i suoi fratelli.

Anche i giornalisti sono rimasti assiepati per molte ore in attesa dell’aereo che porta in Italia Adam al-Najjar. Con lui viaggiano altri cinque piccoli palestinesi bisognosi di cure, e in passato ben 130 piccolini sono già stati accolti negli ospedali italiani… ma per Adam è diverso, per Adam la folla di giornalisti e fotografi non demorde.

L'aereo con i suoi grandi occhi bianchi sgranati atterra sulla pista

L'aereo con i suoi grandi occhi bianchi sgranati atterra sulla pista - Lucia Bellaspiga

Atterra finalmente l’Hercules dell’Aeronautica Militare e dal suo ventre gonfio scende a terra lo strano carico umano fatto di bambini bendati, lettighe, flebo, madri velate e padri, subito accolti al riparo delle tante ambulanze schierate da ore, mentre il personale sanitario esplode in un applauso spontaneo. Stretta ad Adam, che porta il nome del primo uomo creato da Dio (l’inizio della vita su questa terra) scende sua madre Alaa: era di turno quel maledetto 23 maggio in pediatria all’ospedale palestinese di Nasser, era andata al lavoro lasciando i dieci figli al collega e marito Hamdi, quando all’ospedale ha visto arrivare ambulanze e tanti morti, tra i quali nove dei suoi dieci figli ormai irriconoscibili. Solo di Rival, racconterà poi, ha identificato il visino, gli altri erano carbone. E dopo una settimana di agonia anche il loro papà li ha raggiunti nel paradiso di Allah, dove Alaa è sicura che Dio li abbia accolti.

E allora qui a Linate tra questi pensieri aspetti che la sagoma tozza dell'aereo militare ti scaraventi addosso questa massa di dolore “disumano” eppure creato da noi umani (la guerra non è una sventura, la guerra è decisa e voluta e cercata). E intanto che aspetti pensi: perché Adam? Che cosa vogliamo ancora da questo bambino, le cui ossa e i cui nervi verranno ricostruiti al Niguarda e che l’inferno sa già bene come sia? Perché di lui parliamo e adi altri no? Di quanti altri bambini dall’inizio della guerra, anzi delle guerre, abbiamo visto filmati strazianti e racconti tremendi? Che cosa – ti domandi – lo rende diverso da loro? E la risposta è agghiacciante ma inequivocabile: la quantità di morte. La morte in casa dei medici Alaa e Hamdi al-Najjar ha ucciso nove volte, e non lo ha fatto a poco a poco, non un figlio per volta, come nelle case di tanti altri palestinesi, ma tutti nello stesso istante. Come i fratelli del soldato Ryan, che sono quattro e fanno più pena. Come i diciannove uccisi a Nasiriyah tutti insieme il 12 novembre del 2003, e per questo ricordàti più degli altri assassinati sempre a Nasiriyah ma uno per volta, in altre date…

L’essere in nove fratelli rende più atroce la morte di ciascuno di loro? No, certamente, ma ci costringe a fare i conti con un dolore che non sappiamo immaginare: come sarà soffrire per nove figli persi? Se perdere un figlio rappresenta il limite massimo di strazio che un cuore di madre possa sopportare, nove volte di più cosa vuol dire? Anestetizza? O fa impazzire?

Lo sguardo di Alaa, mamma di Adam

Lo sguardo di Alaa, mamma di Adam - L.B.

Domande senza risposta. Sappiamo solo che la dottoressa Alaa ha saputo raccogliere le forze per quell’unico bambino che le è rimasto, perché anche l’amore – se hai dieci figli – non si divide per dieci ma si moltiplica e oggi Adam lo trattiene tutto per sé. Per salvare lui la pediatra palestinese ha scelto l’Italia, perché, dice, conosce come lavorano i nostri sanitari e si fida del nostro popolo. Non è la prima, viene da pensare, visto che in questi anni i nostri reparti pediatrici sono stati scelti (o si sono offerti) per salvare la vita a piccoli pazienti dati per persi nel resto del mondo: al Gaslini di Genova, al Giovanni XXIII di Bergamo, al Bambino Gesù di Roma, al Careggi di Firenze… Dove l’Europa ha alzato le mani impotente l’Italia non ha desistito, e quei bambini colpiti da guerre o malattie rare sono stati salvati. Proprio al Giovanni XXIII di Bergamo è destinato un secondo bambino partito da Gaza insieme ad Adam ma molto più grave di lui: non ha nove fratellini uccisi, ma lesioni agli organi interni e traumi in tutto il corpicino. Al Policlinico di Milano sarà invece curato il terzo dei tre piccoli palestinesi in arrivo a Linate e accolti dalla Lombardia, ha diverse fratture e i polmoni lesionati…

Il ministro Antonio Tajani sull'aereo dona un pallone ad Adam

Il ministro Antonio Tajani sull'aereo dona un pallone ad Adam - Farnesina

Il ministro degli Esteri Tajani ha assicurato: “L’Italia, da qualsiasi parte arriveranno in futuro bambini vittime delle guerre, li curerà sempre. Ne avevamo già accolti 130 da Gaza, oggi con i tre aerei militari arrivati a Linate, Pratica di Mare e Villafranca saliamo a 150, e continueremo. Altre mamme palestinesi hanno fatto richiesta, stiamo valutando ogni situazione. I tre ospedali lombardi si occuperanno dell’accoglienza anche dei familiari dei tre bimbi arrivati stasera. Ci sono infermieri e medici palestinesi che parlano l’arabo e che faranno da mediatori linguistici”. L'assessore Bertolaso ci parla più da medico che da politico: "Sono situazioni tutte gravi, certamente se ce li avessero affidati giorni fa sarebbe stato meglio, avremmo potuto agire molto prima, abbiamo provato anche ad accogliere il padre di Adam ma non abbiamo fatto in tempo". "Ognuna di queste partenze richiede un lavoro organizzativo e burocratico che nemmeno immaginate", ha aggiunto Tajani, "se questo aereo ha avuto tante ore di ritardo, pensate cosa vuol dire trasferire bambini così gravi sotto il fuoco di una guerra, portarli fuori da Gaza, imbarcarli in Israele a Eilat, avere tutti i permessi... Ogni storia di queste è un miracolo di collaborazioni".

Saranno dunque i medici italiani a ridare un futuro ad Adam, che sa di essere rimasto solo e desidera tornare a scuola, simbolo di quella normalità che in tempi di pace diamo per scontata ma nelle guerre, come nelle pandemie, diventa nostalgia di speranza. E lei? Di Alaa, che veste il niqab, si vedono solo gli occhi: non fissi sul personale Areu che la accoglie con tenerezza, non su quelli di Tajani che consegna al bambino un pallone giallo e cerca le parole per consolarla, nemmeno su quelli di Adam che in fondo sorride incuriosito da tutta quella gente e da quella periferia lombarda di notte, così diversa e silenziosa rispetto a Gaza. I suoi no: gli occhi di Alaa vagano spenti dalla fessura del niqab, fissano ancora un passato che non tornerà più, vedono altri figli e quel marito tanto amato volato via con loro. Oggi lei vive per Adam e si affida a Dio, senza il quale – afferma da giorni – non saprebbe reggere. La tragedia che è precipitata dal cielo sulla sua casa, infuocandola come una fine del mondo, è troppo immensa per non pensare che dietro ci sia un disegno più grande di cui fidarsi. Questo afferma, con parole che a noi paiono evangeliche, come il perdono che questa donna addirittura ha chiesto per essere partita da Gaza, “mi dispiace partire – ha detto giorni fa al telegiornale –, lascio tante altre persone che stanno male. Ma Adam è quello che mi resta, spero di essere perdonata. Voi però non dimenticate gli altri”.

È tarda sera, i bambini di Gaza sono qua e la cronaca lascia il posto all'emozione. Forza Adam, con i tuoi piccoli compagni di viaggio, che da stasera vi accolga un mondo di pace e che voi sappiate dare un senso alla follia dei grandi. Che voi cresciate diversi da loro. Che nel cuore, quando penserete agli adulti, voi ricordiate gli occhi del chirurgo italiano che vi curerà il corpo ma prima ancora l’anima. Abbiate ancora fiducia, nonostante noi, contagiatelo voi questo mondo con il bene di cui sarete capaci. Voi.



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