lunedì 31 ottobre 2016
Intervista a un principe della satira, il direttore dell'Unità: «Il mio Bobo oggi vorrebbe parlare dei nonni. Sono ateo, ma Balducci mi diceva: tu credi più di me»
Sergio Staino (Ansa web)

Sergio Staino (Ansa web)

COMMENTA E CONDIVIDI

Sembra Socrate che passeggia nel parco di Villa La Loggia, la monumentale residenza fiorentina costruita dal casato dei Pazzi. «Quelli della congiura...». Ma sono pensieri da fare sottovoce e non servirli sul vassoio d’argento a un maestro della satira come Sergio Staino che incontriamo per discutere del suo ultimo libro Alla ricerca della pecora Fassina (Giunti. Pagine 286. Euro 16,00). Avanza a passo lento, accompagnato dalla moglie Bruna il direttore dell’Unità... «Sono quasi cieco - sposta la mano dal volto - ci vorrebbe una luce molto forte, le cellule sono spente, finite. È una cosa dovuta a una miopia trascurata per povertà contadina (mamma casalinga toscana, papà carabiniere figlio di zappatori lucani, di Stigliano). È cominciato tanto tempo fa, nel 1977: rottura della retina dell’unico occhio sano che avevo. All’ospedale di Trieste mi dissero che sarei rimasto al “buio”... Ero distrutto, per me era la morte civile. Ma è stato proprio in quei giorni che l’occhio, incamerando informazioni frammentarie, lavorava lo stesso e mi ha permesso di ridisegnare la parete asburgica che avevo davanti al letto... Lavorando con sofferenza tra carta, lapis e pennino mi è venuto fuori un altro segno. Un segno mio, oserei dire alla Grosz, ma che conquistato millimetro dopo millimetro è diventato il segno di Staino. Allora ho capito che anche dal male può nascere qualcosa di nuovo, e forse ancora più bello».

Il suo debutto nel fantastico mondo della satira ha una data precisa?

«Sì certo, la nascita di Bobo: 10 ottobre 1979. A tavolino ho pensato a un personaggio in grado di raccontare le mie disavventure, quelle di un uomo al tempo transfugo dai marxisti-leninisti per aver subodorato la deriva terroristica. Facevo l’insegnante, una moglie americana, una bambina. Vita agra alla Bianciardi no, però... Mando tutto a Oreste del Buono e ai primi di novembre mi chiamano entusiasti per iniziare a pubblicare le mie vignette su Linus».

Una rivista in cui il suo Bobo entrò da rivoluzionario.

«Io pensavo a un umorismo di costume, ma pregno come ero di politica e di problemi famigliari alla fine è venuta fuori questa dimensione “altra”. L’originalità credo sia stata scoprire un modo diverso di fare satira politica disegnando una famigliola di sinistra e non il Palazzo con i suoi personaggi».

Qualcuno pensò che il suo Bobo fosse la caricatura di Umberto Eco...

«Smentisco ad oltranza, trattasi della mia autocaricatura. Ad Eco piaceva Bobo ma per fugare ogni dubbio scrisse una dichiarazione di “negazione”. Non poteva essere lui anche per ragioni anagrafiche, Eco aveva quei dieci anni più di me, e ai tempi volevano dire uno scarto generazionale importante. Oggi cosa pensa Bobo? Vorrebbe parlare dei nonni ma è un curioso del digitale».

Per confrontarsi con le nuove generazioni anche Staino si è digitalizzato?

«Nel computer ho scoperto una nuova creatività. Nel 2000 con un certo ritardo, sono passato al pc. Lo feci con tristezza pensando di andare al “funerale” del lavoro cartaceo, e invece con tecnologie avanzate (l’aiuto di mio figlio Michele e di giovani collaboratori che mi assistono ogni giorno) ora disegno come su un foglio. Taro la penna come voglio e con i bioritmi giusti funziona. In più ho una tavolozza di colori e di tessuti inimmaginabili che posso infilare, sommare, ritoccare. È una realtà che in un secondo mi trasporta dalla preistoria al futuro».

È per questo suo essere al passo con i tempi che i giovani vedono in lei un punto di riferimento?

«I giovani ti seguono se riconoscono un microcosmo comune. È il caso di Zerocalcare, sicuramente il più talentuoso. L’ho incontrato in treno e mi ha detto: “Sa Staino, io le devo molto”. E io ci credo, il retroterra da cui proveniamo non è affatto distante. Il suo, Rebibbia e la Roma popolare, il mio, Pian Castagnaio con una mamma timida di vent’anni e un papà che appena sono nato era partito per la guerra».

Chi sono stati i punti di riferimento nel suo lavoro?

«Il Giornalino. Topolino e Paperino di quel genio assoluto di Carl Barks. Carlo Chiostri e il suo Pinocchio, rassicurante. Dorè e le sue fiabe di Perrault: mi hanno sempre affascinato i suoi orchi con il coltellaccio, ma adesso però ce ne sono troppi in carne ed ossa e non mi piacciono più. Da grande una fonte di ispirazione costante è stata la Divina Commedia. E poi Jambo, un pisano che disegnava immagini liberty bicromate: mi facevano tanta paura ma il terrore mi incuriosiva... - sorride - Ecco perché ho fatto tanta politica».

E il mondo della politica a volte non ha gradito...

«Quando disegnai la vignetta “ho un macigno sullo stomaco”, con Occhetto sdraiato con un masso sopra e nella seconda si vedeva il macigno più Occhetto sopra a Bobo che diceva “io ce n’ho due”, Massimo D’Alema mi censurò. “E tu pensi che sull’Unità metta questa roba qua?”, mi disse infuriato. Allora chiamai i miei veri amici di sempre: Altan la vede e dice “bella”, Ellekappa idem. Richiama D’Alema e gli dico: “Guarda Massimo, ho sentito Altan e Ellekappa e dicono che è bella”. Al che D’Alema tuonò: “E a loro tu parli di faccende private?... Lo sai che questa è la fine di un’amicizia?” Sono rimasto zitto a pensare: ma quando era cominciata la nostra amicizia?».

Ma poi forse è sbocciata?

«No, siamo incompatibili. D’Alema come Bersani possiedono quella brutta dote che è l’avidità di potere, rivorrebbero le vecchie poltrone ma quelle ormai spettano ai giovani, non le rivedranno mai più».

Meglio Matteo Renzi che l’ha voluto direttore all’Unità... Ma che giornale vuol fare Staino?

«Quando Renzi ha riaperto l’Unità gli dissi: fai un giornale tra l’Avvenire e il Foglio. Adesso ci proviamo... La ricetta per il futuro sta nel riformismo che indica una scelta continua di ciò che hai di meglio per avvicinarti all’obiettivo».

Sembra un discorso veltroniano.

«Da direttore dell’Unità provò pure lui a censurarmi una vignetta. Poi mi richiamò al telefono e mi disse: “Sergio scusa, dimentica quella telefonata di poco fa”. Veltroni l’ho sempre combattuto, ma tanto di cappello. Buono l’esempio di staccarsi dal di dentro, scrive bei libri, realizza ottimi film: il documentario su Berlinguer e quello sui bambini li ho trovati splendidi».

Nella sua sterminata produzione non mancano riferimenti ecclesiastici.

«Preti, papi e cardinali li ho disegnati sempre e solo in caso di necessità. I comunisti sono terrorizzati, vengono dall’art. 7: l’idea che si offenda un religioso equivale a milioni di voti che se ne vanno in fumo... Eppure la vignetta dell’eredità che si mischiava alla conversione (“Dio c’è e vuole la sua parte d’identità”), uscii su Tango e dal Vaticano ricevette la dovuta attenzione. Il cardinal Ruini, tramite Antonio Padellaro, chiese l’originale di una mia vignetta elettorale».

Il suo Bobo che rapporto ha con la fede?

«Come il sottoscritto, ammira don Ernesto Balducci. Siamo tutti e due dell’Amiata, di Santa Fiora, e ogni volta che ci incontravamo mi ricordava: “Noi Sergio siamo dei matti, abbiamo respirato i fumi del mercurio... E poi - mi salutava - comunque tu in fondo sei più credente di me”».

Aveva visto giusto don Balducci?

«No - sorride divertito - Sono Presidente onorario dell’Unione atei, carica che accettai su richiesta della mia cara amica Margherita Hack. Confesso che provo un po’ di tristezza per i tantissimi comunisti che si convertono in punto di morte. Mi fa invece sorridere Eugenio Scalfari, a volte quando scrive o parla di Bergoglio ho l’impressione che creda di essere lui papa Francesco».

A papa Francesco dedica una striscia finale nel suo libro “Alla ricerca della pecora Fassina”.

«Ho una bella storia che riguarda Bergoglio e mia madre. Un giorno del 1948 a San Quirico, mamma va a confessarsi e torna a casa imbestialita. Un prete giovane che aveva ascoltato distrattamente i suoi peccati gli intimava: “Il 18 aprile lei voterà, il voto è segreto ma non per Dio, se lei pensa di votare fronte popolare non le do l’assoluzione”... Se non me la può dare “la se la tiene”... fu la risposta di mia madre. Il mio amico fraterno Carlin Petrini questo episodio l’ha raccontato a papa Francesco che gli ha detto: “Se la mamma del tuo amico è ancora viva glie la do io l’assoluzione”. Bravo papa Bergoglio! E bravo Petrini: nel libro ho disegnato Carlin che tra vent’anni viene eletto papa - ride di gusto - … Sarà Francesco II».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: