giovedì 25 gennaio 2024
Non doveva stordire perché i cittadini dell'Urbe lo bevevano a feste che potevano durare giorni. Le caratteristiche erano date dalla vinificazione in terracotta, come avviene ancora oggi in Georgia
Un mosaico che rappresenta la vendemmia in epoca romana

Un mosaico che rappresenta la vendemmia in epoca romana - WikiCommons

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I vini dell'antica Roma? Simili a quelli che ancora oggi si fanno in Georgia. Lo dice uno studio approfondito che evidenzia come i vini romani si caratterizzavano per aromi speziati e molto complessi. Non solo, erano molto "beverini" ma non eccessivamente forti, anche perché il loro uso era finalizzato alla socializzazione, in feste e ricorrenze. I vini della Roma Antica si avvicinavano a quelli prodotti all'epoca nel Caucaso. Il tutto per la grande similitudine nella fermentazione che avvenire in contenitori di terracotta che venivano poi seppelliti.

A fare questa scoperta è un team di ricercatori dell'Università belga di Gand, le cui conclusioni sono state pubblicate sulla rivista "Antiquity". "Ora pensiamo che producessero vini molto secchi, molto complessi, ma allo stesso tempo estremamente bevibili", ha spiegato Dimitri Van Limbergen dell'Università di Gand. Gli archeologi hanno dimostrato che 2mila anni fa gli antichi romani producevano vini deliziosi, tra cui una bevanda particolarmente pregiata color ambra che avrebbe avuto aromi di noci e spezie e una gradazione alcolica di circa l'11%. Il gusto caratteristico richiamava, dicono gli esperti, al pane tostato e alle noci, certamente sapori sconosciuti al bevitore moderno, ma soprattutto il vino in questione non lasciava "sbornie". Una specificità che potrebbe aiutare a spiegare la passione dei romani per i banchetti molto lunghi.

Due millenni dopo, pratiche molto simili sono sopravvissute nella Georgia moderna, dove già in tempi antichi si produceva un vino molto simile a quello dei romani. Un ruolo importante - e comune - nel processo di vinificazione è proprio il tipo di contenitore utilizzato sia dai romani che dai georgiani per la macerazione dell'uva. Nel mondo romano, si trattava di grandi vasi di terracotta chiamati dolia, che venivano sepolti durante la fase della fermentazione e successivamente per la conservazione e l'invecchiamento delle bevande. Allo stesso modo in Georgia nelle vecchie cantine del XII al XVI secolo sono stati ritrovati dei contenitori tradizionali ispirati alle navi - chiamate qvevri - usate nel Caucaso, in terracotta, molto simili a quelli degli antichi romani. Gli antichi seppellivano i loro dolia nel terreno, lasciando inizialmente i coperchi aperti durante la fermentazione, come riscontrato nei siti di Pompei e Boscoreale nella regione Campania e a Le Muracche, in Abruzzo. A differenza dei contenitori metallici utilizzati nella moderna vinificazione industriale, i dolia di argilla erano porosi e permettevano al contenuto di reagire con l'ossigeno proveniente dall'esterno.

"Il contatto con l'aria non gestito trasforma il vino in aceto, ma l'ossidazione controllata può dare come risultato ottimi vini poiché concentra il colore e crea piacevoli sapori erbacei, di nocciola e di frutta secca", hanno precisato gli studiosi. In realtà il collegamento è ancora più stretto tra questi due mondi, distanti solo apparentemente. "I romani usavano lo stesso tipo di argilla, suggerendo di aver imparato allora dal trucco dei viticoltori del Caucaso", ha concluso Van Limbergen.

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