mercoledì 21 dicembre 2016
Nell’Abruzzo terremotato aumentano i flussi: la difesa del territorio diventa un volano
Onna, il paese vicino all'Aquila duramente colpito dal sisma del 2009

Onna, il paese vicino all'Aquila duramente colpito dal sisma del 2009

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Quest’anno c’è stato un netto aumento della presenza turistica nel nostro paese. Un miglioramento che nel caso di regioni come l’Abruzzo, colpito dagli effetti di due sismi, ha del miracoloso e che premia la volontà ostinata di operatori e in generale degli abitanti della regione a fare della propria terra un posto di accoglienza. La Regione Abruzzo ha abbracciato una linea coraggiosa di rinnovamento delle strategie di attrazione di turismo straniero e italiano, organizzando eventi di varia natura, artistica, legati alla cucina e ai prodotti locali, ma anche sportivi, didattici e spettacolari. Nell’insieme questa capillarità dell’offerta turistica, declinata comune per comune, ha premiato le intenzioni ed è diventata un esempio per le altre regioni. Nel Sud c’è stata una situazione eccezionale – turismo estivo e autunnale – dovuta alla situazione internazionale. Il turismo straniero ha disertato mete abituali quali Sharm El Sheik e il mar Rosso, la Tunisia e la Turchia e si è riversato sulle spiagge siciliane, calabresi e pugliesi, in cerca di situazioni più rassicuranti in un momento particolarmente critico. Questa contingenza che ha favorito in genere il nostro Paese, è un’occasione per riflettere sul turismo in generale per quello che ci riguarda.

Credo sia un’opinione più che diffusa che è giunto il momento di pensare che il turismo possa diventare una delle fonti principali di produzione di ricchezza per il nostro Paese. Se in passato questo ragionamento poteva fare storcere il naso a chi dei turisti aveva un’opinione abbastanza bassa – come devastatori della autenticità locale – oggi invece prevale l’idea che un turismo sostenibile è il migliore alleato per una difesa del territorio nei suoi aspetti ambientali e culturali. Solo un territorio concepito come risorsa non da depredare, ma da preservare consente di pensare ai beni culturali e ambientali alla pari di risorse rinnovabili di energia. Non bisogna dimenticare che l’Italia è anche diventata negli ultimi anni il simbolo mondiale del “buon cibo”, molto grazie al lavoro di Slow Food e di altri soggetti analoghi. Una tradizione dell’alimentazione che coniuga qualità dei prodotti, localismo gastronomico e “giustezza ambientale”. Basta passeggiare per città come Bologna, ma anche Firenze o Padova per rendersi conto di quanto la ristorazione sia diventata una delle offerte turistiche più articolate e in grado di rinnovarsi. Il problema è che come sempre al nostro Paese manca una visione d’insieme. I singoli operatori sanno molto di più dei politici e degli amministratori cosa sta accadendo. L’Italia è sempre più vissuta dal resto del mondo come il luogo in cui varrebbe la pena vivere, ma non è in grado di rispondere adeguatamente a questo sogno. Come sempre ci manca una visione chiara di chi siamo, e sono gli stranieri a offrircela. Per questo il turismo è una chiave molto importante del futuro dell’identità del nostro paese. E non dimentichiamo che proprio nel settore dell’accoglienza si installano con più facilità gli immigrati che gli italiani stessi.

Cosa si potrebbe fare? Anzitutto cominciare a pensare che qualunque intervento di difesa del territorio e del paesaggio ha un immediato riscontro nella risposta turistica. Ricostruire i paesi terremotati in Abruzzo o quelli disastrati nel resto d’Italia non è solo una questione di “emergenza”, ma un investimento. E questo risponde anche alle polemiche intorno alle “ricostruzioni com’era e dov’era”, che sicuramente devono garantire che l’identità territoriale non venga devastata dalle bizze delle nostre grandi archistar. Accanto a questa concezione del territorio ve n’è un’altra per cui è il modo italiano di vivere, la nostra quotidianità che attira il turismo intelligente. Questo significa che a parte la ristorazione e l’ambiente c’è una questione di difesa della “ italian way of life” che passa attraverso la difesa dell’uso dello spazio pubblico. Le nostre città vanno finalmente e definitivamente liberate dallo scempio automobilistico e restituite ai ritmi delle persone che camminano, che si incontrano, che si guardano e che si parlano per strada. La strada, la piazza, il lungomare, il lungofiume sono parte della nostra maniera unica di rapportarci con il paesaggio quotidiano. Tutto ciò postulerebbe un pensiero ampio e una visione generale, cose che mancano ancora a chi dovrebbe stilare finalmente per l’Italia un piano generale del turismo.

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