mercoledì 1 aprile 2009
Grazie alla sua inchiesta sulla camorra nei Lander è divenuta la «Saviano tedesca»: anche nel senso delle minacce e delle denunce per farla tacere «Da noi non si possono fare intercettazioni né ricerche sul riciclaggio e non è previsto il reato di associazione mafiosa: una pacchia per i clan»
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Scrivere su criminalità organizzata, mafia, camorra, ’ndrangheta non è facile né piacevole. Lo sa bene Roberto Saviano e lo sa Petra Reski, coraggiosa giornalista tedesca autrice di un libro sulla malavita in Germania ( Mafia. Von Paten, Pizzerie und falschen Priestern, Droemer Verlag, Monaco 2008). La sua inchiesta le ha procurato sì qualche premio («Reporter dell’anno» 2008) ma anche un mare di problemi, intimidazioni, censure e processi. Lo stesso Saviano ha ricordato che proprio il silenzio e la diffamazione sono le nuove armi della mafia. La Reski è ospite al Festival internazionale del Giornalismo che si svolge da oggi al 5 aprile a Perugia. Petra Reski: una sorta di «Saviano tedesca»? «Non vorrei paragonare il mio caso a quello di Roberto Saviano. Sono una giornalista tedesca che ha scritto facendo nomi e cognomi di personaggi mafiosi e per questo ha avuto ed ha grandi problemi. A differenza di Saviano non devo ancora nascondermi; diciamo che questa è però l’unica differenza». Anche nei suoi confronti si è fatto largo uso di intimidazioni e diffamazioni. «Certo! Hanno iniziato a cercare di intimidirmi durante la presentazione del libro ad Erfurt. Qualcuno del pubblico italiano si è alzato ed ha detto di "ammirare il mio coraggio di citare nomi e cognomi di mafiosi". Un’altra persona si è alzata e mi ha chiamata "mafiosa". Beh… ecco che il messaggio era chiaro. Sono stata consigliata di non presentare più il libro senza la presenza della polizia». E poi è arrivato il resto… «Sì, le denunce per diffamazione. Ora mi devo difendere in ben 5 processi. Ho avuto inoltre anche due denunce penali di cui una è già stata archiviata e l’altra è ancora in corso. Per una giornalista free­lance come me, ciò significa essere sempre occupata con giudici ed avvocati. Questa è la tattica soprattutto qui in Germania per cercare di rovinare i giornalisti che scrivono di mafia, paralizzando la loro attività, intimidendoli e minacciandoli tramite le denunce». Andiamo a ritroso, signora Reski. Quando e come è nato in lei l’interesse per le varie mafie, camorra, ’ndrangheta? «Subito dopo la maturità sono partita con una vecchia Renault 4 da Kamen in Renania, dove abitavo, per Corleone in Sicilia. Ero spinta da un’idea romantica dopo aver letto Il Padrino di Mario Puzo, ma non solo perché mi interessavano le storie di famiglia anche se sotto l’aspetto di famigliarismo amorale che è il connotato caratteriale della mafia». Per la rivista «Stern» si occupa principalmente di malavita organizzata. Qual è, secondo lei, il grado di pericolosità della mafia oggi in Germania? È veramente così alto come lo descrive nel suo libro? «Penso sia ancora maggiore! Personalmente sono finita sul tema direi contro la mia volontà. Mi sono sempre occupata della mafia in Italia e solo dopo la strage di Duisburg (il 15 agosto 2007) ho iniziato ad occuparmi della mafia in Germania. Duisburg è nel Land dove sono nata, la Renania, ed era quindi un fatto successo vicino a casa. Il mio interesse è dunque aumentato e in seguito ho saputo dall’Italia cose che neanche lontanamente mi sarei immaginata. I magistrati italiani che avevo incontrato nelle mie inchieste mi avevano già illustrato molti aspetti, come l’insufficienza della legislazione tedesca in materia (il reato di associazione mafiosa in Germania non è contemplato), le intercettazioni ambientali quasi impossibili, la possibilità per i mafiosi di investire i loro soldi senza essere controllati e dunque riciclare denaro sporco... Tutto questo crea naturalmente un terreno molto fertile per la mafia. E ciò non dura da ieri, ma da 40 anni! Anche per l’ingenuità dei tedeschi e la convinzione che quello che accade in Italia non possa succedere in Germania. Questo è stato uno sbaglio enorme, perché la mafia possiede veramente la facoltà di adattarsi a qualsiasi ambiente. E i mafiosi sfruttano le lacune legislative della Germania per curare meglio i loro interessi». Come opera la mafia oggi in Germania? «Per la criminalità organizzata la Germania rappresenta da una parte un terreno ideale per investimenti e riciclaggio e dall’altra un luogo tranquillo dove nascondersi. I loro capitali sono più al sicuro da sequestri e confische che in Italia. Dopo la caduta del Muro (1989) la mafia e soprattutto il suo ramo più potente, la ’ndrangheta, ha investito nel settore turistico e gastronomico soprattutto in varie città dell’ex Germania comunista. I mafiosi inoltre cercano contatti con esponenti del mondo politico e imprenditoriale, fino agli ambienti della polizia». Il suo libro ha avuto un notevole successo in Germania, anche se alcuni tribunali hanno imposto censure. Sono scomparsi alcuni nomi di presunti mafiosi che figuravano nella prima edizione. Ci sarà anche un’edizione italiana? «Ci saranno 5 traduzioni ma non un’edizione italiana». E lei continuerà ad occuparsi di malavita organizzata? «Sì, perché in questo momento sono costretta ad occuparmi di tutti i problemi legati alle denunce nei miei confronti. Da giornalista considero tutto ciò come una nuova ricerca per un’inchiesta».
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