giovedì 24 giugno 2021
Parla il filosofo delle religioni, che interverrà sul tema al Festival Biblico a Vittorio Veneto: «Un nuovo pensiero dell’universale per scoprire lo specifico di ogni tradizione»
L'incontro tra papa Francesco e l'imam Ahmed al-Tayeb ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019

L'incontro tra papa Francesco e l'imam Ahmed al-Tayeb ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019 - Ansa

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Vicenza, Padova e Vittorio Veneto sono le sedi nelle quali si svolgono gli eventi conclusivi del Festival Biblico, giunto alla 17ª edizione. IL PROGRAMMA DEL FESTIVAL BIBLICO

La teologia realizza quello che la filosofia immagina. Detto così suona un po’ perentorio, d’accordo, ma il filosofo delle religioni Roberto Celada Ballanti ha pronto un esempio molto persuasivo: «Ha presente il documento sulla Fratellanza umana sottoscritto nel 2019 ad Abu Dhabi da papa Francesco e dal grande imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb? – dice – Bene, provi a confrontarlo con il De pace fidei di Nicola Cusano e vedrà quanto numerosi e significati sono i punti di contatto. Non per niente, Cusano scrive nel clima della conquista di Costantinopoli da parte degli Ottomani. Più che un’utopia, la sua è una proposta di dialogo. Molto concreta, da prendere sul serio ancora oggi».

Sono i temi che Celada Ballanti affronta spesso nel suo lavoro e che hanno trovato sistemazione in Filosofia del dialogo interreligioso (Morcelliana, pagine 178, euro 14,00), un volume il cui titolo riprende il nome della cattedra che lo studioso ricopre all’Università di Genova. Insieme con don Valentino Cottini, direttore della rivista Islamochristiana del Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica, Celada Ballanti sarà protagonista del dibattito su “La rotta per la casa comune” in programma sabato 26 giugno alle ore 18 a Vittorio Veneto nell’ambito del Festival Biblico, con la moderazione di Andrea Berton.

Professore, come mai è tanto importante rifarsi al pensiero del passato?

Perché è un pensiero collocato nella storia e che, di conseguenza, permette a noi stessi di prendere consapevolezza del tempo in cui siamo compiamo le nostre scelte. Il dialogo interreligioso non è un’invenzione di adesso, né tanto meno un ripiego obbligato. Nella sua configurazione più autentica, attraversa l’intera vicenda dell’Occidente, perlomeno a partire dal 160 dopo Cristo. A quell’anno risale il Dialogo con Trifone di Giustino, destinato a morire martire da lì a breve. Questo testo è il primo anello di una catena che comprende le opere di Abelardo e di Raimondo Lullo, fino allo snodo rappresentato appunto da Cusano, grazie al quale la riflessione sul dialogo entra nella modernità.

In che modo?

Affrontando la questione del plurale, la stessa che ancora ci appassiona e ci riguarda. Uso questo verbo in maniera intenzionale, rifacendomi all’immagine che lo stesso Cusano propone in un altro suo scritto, il De visione Dei. Lì troviamo i monaci che, in contemplazione davanti all’occhio di Dio, si rendono conto di essere seguiti ovunque da quello stesso occhio. È, letteralmente, la conversione dello sguardo: comprendere che, mentre guardo, sono a mia volta guardato.

Fin qui la mistica. Come si attua il passaggio alla concretezza della storia?

La mistica, in realtà, ha in sé una forte componente di concretezza. Da Caterina da Siena a Teresa d’Avila e Giovanni della Croce, i grandi mistici della tradizione cristiana si sono sempre immersi nella complessità della propria epoca. Per questo è tanto importante interrogarci su quali siano le caratteristiche del momento in cui ci troviamo.

Lei che risposta si dà?

Che il nostro è il tempo della crisi del dialogo e, dunque, il tempo in cui il dialogo è più che mai necessario. A dimostrarlo basterebbe il dramma del Mediterraneo, che da spazio vitale di incontro si è fatto luogo di divisione e di morte. La responsabilità della filosofia, a mio avviso, è chiamata in causa proprio da questo difetto di fratellanza, da questa indisponibilità al riconoscimento dell’altro. Abbiamo bisogno di un nuovo pensiero dell’universale, che sia concepito non più come sottrazione delle differenze, ma come valorizzazione delle specificità. Un universale inclusivo, della relazione e dell’ospitalità. Alla radice, a nozione stessa di logos fa appello al legame. Ecco, a noi serve un logos del dia-, la particella greca che indica la separazione e che, separando, rende possibile il ricongiungimento.

Non c’è il rischio di approdare a un sincretismo dell’indistinto?

Un rischio del genere si manifesta quando ci si illude di poter ignorare le differenze o magari di mascherarle sotto una tolleranza di comodo. Ma non è questo l’obiettivo da perseguire. Al contrario, ogni religione è invitata a esplorare e reinterpretare la propria tradizione, fino a individuare gli elementi che rendono efficace il dialogo. Da questo punto di vista, il cristianesimo ha una storia ricchissima, che forse non abbiamo ancora imparato ad apprezzare in tutta la sua vastità.


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