martedì 22 agosto 2023
L’arsenale atomico non può essere un problema solo di chi ce l’ha ma è di tutti, nazioni e singoli. Il “Trattato sulla proibizione delle armi nucleari” è una conquista che dà fastidio alle potenze
Il disarmo nucleare è una sfida globale. E possibile

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Pubblichiamo la prefazione di Beatrice Fihn al volume di Francesco Vignarca Disarmo nucleare. È l’ora di mettere al bando le armi nucleari, prima che sia troppo tardi (Altraeconomia, pagine 192, euro 16,00), in libreria dall’8 settembre. Beatrice Fihn è stata direttrice esecutiva della Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (Ican) premiata con il Nobel per la Pace nel 2017.

Il movimento per il disarmo nucleare è vecchio quanto le armi nucleari. A partire dagli scienziati che hanno lavorato al Progetto Manhattan per sviluppare la prima bomba atomica negli anni ‘40, la preoccupazione dell’opinione pubblica per le terribili conseguenze di queste armi si è sviluppata parallelamente all’evoluzione tecnica delle armi stesse. Dalla fondazione della Federazione degli scienziati americani nel 1946, al manifesto di Russell-Einstein e alle conferenze di Pugwash degli anni ‘50, alle rivelazioni delle conseguenze sulla salute pubblica dei test nucleari negli anni ‘60, fino alle proteste pubbliche di massa contro le armi nucleari e la corsa agli armamenti della Guerra fredda negli anni ‘80 l’azione della società civile si è evoluta e adattata nel corso dei decenni di lotta per eliminare le armi nucleari prima che esse eliminino noi.

Questo movimento è sempre stato radicato nella consapevolezza di ciò che l’uso delle armi nucleari significherebbe realmente, nonché dei costi colossali e dei danni duraturi del loro sviluppo e dei loro test. Mentre i governi e le forze armate parlano in termini astratti ed eufemistici di deterrenza strategica, di potenziale, di individuazione di bersagli con “controvalore” e di capacità di secondo colpo le voci della società civile – scienziati, sopravvissuti, medici, operatori dell’emergenza, giornalisti, ambientalisti, insegnanti, genitori, giovani – hanno alzato instancabilmente la voce, con molte meno risorse, per rivelare il vero significato che si cela dietro il perverso gergo nucleare, e mettere in allerta il mondo sul pericolo orribile ed esistenziale che le armi nucleari rappresentano e per spingere i governi ad agire.

Il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (Tpnw) incarna l’evoluzione del movimento per il disarmo nucleare. Il Trattato è emerso da uno sforzo concertato per esaminare in dettaglio l’impatto umanitario delle armi nucleari, attraverso le tre Conferenze internazionali tenutesi a Oslo (2013) e a Nayarit e Vienna (2014). Queste conferenze hanno ascoltato non solo i governi e le organizzazioni internazionali, ma anche un’ampia gamma di esperti della società civile e, soprattutto, le persone effettivamente colpite dalle armi nucleari: i sopravvissuti a Hiroshima e Nagasaki e i sopravvissuti ai test negli Stati Uniti, Kazakistan, Australia e Pacifico.

Le Conferenze hanno chiarito, sulla base di prove concrete e esperienze dirette, che le armi nucleari colpiscono tutti, in tutti i Paesi, indipendentemente dai confini, dalle circostanze economiche, dall’allineamento geopolitico o dalla potenza militare. Le armi nucleari non sono quindi solo una preoccupazione del piccolo numero di Stati dotati di armi nucleari e dei loro alleati, ma una responsabilità di tutti i Paesi – e di tutte le persone. Come il cambiamento climatico e le malattie pandemiche, le armi nucleari sono un problema globale che richiede una risposta globale.

Si tratta di un cambiamento straordinario e profondamente importante. In precedenza, il disarmo nucleare era stato visto come una partita esclusiva da giocare tra gli Stati dotati di armi nucleari: compromessi e contrattazioni tra una piccola e potente élite. I Paesi che ne sono privi, insieme alla società civile, erano stati confinati ai margini: eventualmente solo sollecitando l’azione sul disarmo da parte degli Stati dotati di armi nucleari nell’ambito del Trattato di non proliferazione nucleare, della Conferenza sul disarmo e di altri consessi internazionali, e svolgendo un ruolo un tempo giustamente descritto come “spettatori moralizzatori”. Al contrario nell’ambito della “iniziativa umanitaria” tutti i Paesi sono diventati attori. E con la società civile hanno condiviso la responsabilità di agire e di farlo rapidamente, indipendentemente da ciò che gli Stati dotati di armi nucleari potevano o meno essere pronti a fare.

Si è trattato di una presa di coscienza estremamente forte, che ha portato direttamente alla creazione del Trattato Tpnw. I Paesi privi di armi nucleari forse non sono in grado di concretizzare un disarmo completo, ma possono “colmare il vuoto giuridico” e proibire completamente le armi nucleari nell’ambito del diritto internazionale, nello stesso modo in cui le armi biologiche e chimiche sono proibite dai trattati multilaterali. Hanno avuto la possibilità di costruire una solida norma internazionale in grado di stigmatizzare e delegittimare le armi nucleari. Costruendo così un regime normativo internazionale mirato a eliminare i rischi e a rimediare ai danni causati dalle armi nucleari, incorporando le competenze, le risorse e le esperienze della società civile come una componente intrinseca e indispensabile.

Tuttavia, c’è sempre stato qualcosa di controintuitivo nell’idea di costruire un Trattato per la messa al bando delle armi nucleari senza il coinvolgimento di nessuno degli Stati dotati di tali armamenti. La reazione di molti scettici è naturale. Ma non è condivisa dai governi degli Stati dotati di armi nucleari: ironia della sorte proprio loro hanno visto il potenziale del Tpnw fin dall’inizio, ben prima di molti sostenitori. E hanno reagito con forza: boicottando le conferenze sull’impatto umanitario, le successive discussioni delle Nazioni Unite e i negoziati. Hanno attaccato il Trattato e i suoi sostenitori, hanno fatto pressione sui Paesi affinché non vi aderissero e hanno previsto ogni tipo di conseguenza, spesso assurda, nel caso in cui il Tpnw fosse entrato in vigore. Hanno ripetutamente affermato che il Trattato non funzionerà – che “non porterà all’eliminazione di una sola arma” – mentre il loro comportamento dimostra fin troppo chiaramente che temono che lo faccia.

Anche le reazioni degli Stati che fanno parte di alleanze nucleari – tra cui l’Italia – dicono molto della potenza e dell’efficacia del Trattato di proibizione delle armi nucleari. Per questi governi una norma internazionale tale mette sul tavolo questioni scomode. Dal momento che si dichiarano a favore del disarmo nucleare, dal momento che il possesso di armi nucleari è già vietato per loro dal Trattato di non proliferazione, dal momento che sono forti sostenitori dei Trattati che vietano le armi biologiche e chimiche… perché non dovrebbero aderire al Tpnw? L’esistenza del Trattato li costringe quindi a confrontarsi con una contraddizione morale che prima era comodamente nascosta: come può una democrazia liberale, impegnata a sostenere i diritti umani e il diritto umanitario internazionale, basare la propria sicurezza sulla capacità di uccidere indiscriminatamente centinaia di migliaia o milioni di persone?

Siamo ancora nelle prime fasi di attuazione del Trattato. Dobbiamo lavorare sodo per costruire i suoi membri e sviluppare i suoi meccanismi di funzionamento. L’eli-minazione globale delle armi nucleari rimane un obiettivo a lungo termine e il successo è tutt’altro che garantito. Ma non c’è dubbio che il Tpnw rappresenti un passo avanti rivoluzionario per il movimento per il disarmo nucleare e fornisca un veicolo ideale per la collaborazione tra governi e società civile al fine di rimuovere gli ostacoli e compiere progressi reali verso un mondo libero dalle armi nucleari.

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