sabato 18 marzo 2017
Il grande poeta premio Nobel nel 1992, morto venerdì, era nato a Santa Lucia, nelle Antille. Da colonizzato si emancipò attraverso l'inglese, la lingua dei colonizzatori: reinventandola profondamente
Il poeta Derek Walcott (Ansa/Jeffrey Arguedas)

Il poeta Derek Walcott (Ansa/Jeffrey Arguedas)

COMMENTA E CONDIVIDI

In un articolo del 1987, che ora si legge nella raccolta di saggi tradotta da Adelphi nel 2013 e intitolata La voce del crepuscolo (1998), Derek Walcott, nato sulla caraibica e creola Santa Lucia nel 1930, scriveva del coetaneo V.S. Naipaul, anglo-indiano nato a Trinidad: «Trinidad lo ha ferito, l’Inghilterra lo ha salvato». Entrambi figli di quelle remote Antille, che avevano conosciuto le più diverse colonizzazioni europee, avrebbero poi avuto dall’Europa del grande e civilissimo Nord il Premio Nobel: Walcott nel 1992, Naipaul nel 2001. Entrambi avevano presto lasciato le terre in cui il sole picchia e il cielo para schiacciarti, tanto è azzurro, per trasferirsi in climi assai più freddi, poco importa se Inghilterra o Stati Uniti. Entrambi vissero la condizione del colonizzato ma scrissero emancipandosi nella lingua dei colonizzatori, nutrendola di nuovo e giovane sangue, reinventandola profondamente, scongiurandone la decadenza.

Naipaul, però, esordiva venticinquenne, nell’insofferenza e nel risentimento, col romanzo Il massaggiatore mistico (1957), mentre Walcott, già dai 25 Poems (1948), sapeva guardare con riconoscenza alla terra natia, a quel crogiolo inesauribile di razze e culture, misteriosamente amalgamate, come all’insorgenza continua di «frammenti di memoria epica » – per stare alle parole del discorso da lui tenuto per il Nobel – che aspettavano soltanto d’essere sollevati al canto.

Le miserabili capanne di paglia, i panfili dei turisti bianchi che approdano in acque di leggenda, la poesia realistica e metafisica di John Donne: c’è già tutto questo nella sua opera più nota, Omeros (1990), che racconta la vicenda di due pescatori di Santa Lucia, Ettore e Achille, innamorati della stessa donna, la quale si chiama Elena e, seducente come nessuna, fa la cameriera in un hotel dell’isola. Ettore: che ha ceduto alla globalizzazione e fa il tassista. Achille: che continua a onorare il mare in gloria dei padri e della tradizione. Un poema ove Walcott fa una specie di doppio miracolo.

Ci restituisce un’opera-mondo che sa diventare il romanzo dei Caraibi, dei suoi conflitti e delle sue trasformazioni, restando però in sintonia coi drammi universalmente umani della grande poesia di sempre. Epperò, nel contempo, con un’ironia sottilissima, sa assumere il corpo d’una tradizione millenaria, quella che nasce con Omero, rigenerando, dentro una fase di crepuscolo epocale, ciò che era sorto alla sua alba, ripetendo e rinnovando, alla fine del Novecento, ciò che Joyce, agli inizi del secolo, aveva fatto col suo Ulisse.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: