mercoledì 29 gennaio 2014
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Articolo 1, primo comma: «Al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito». Non per essere pedanti, ma visto che si fa di nuovo un gran parlare (male) della legge 40 forse è il caso di andarsela a rileggere, cominciando dalle parole che la fondano. Perché se non si mette a fuoco il motivo per cui la si votò il rischio più che concreto è di far finta di non aver imparato nulla in questi anni, ricadendo negli stessi abusi di fronte ai quali prese corpo l’esigenza di una regola certa e rispettata. Dieci anni fa una legge era indispensabile per fermare quello che fu definito a buona ragione il “far west della provetta”: visto che una regola ad hoc non esisteva, le cliniche che proliferavano concludendo lucrosi affari sul dramma della sterilità di coppia potevano produrre embrioni a volontà, selezionarli, scartarli e congelarli. Un’industria senza scrupoli, la vita umana ridotta a niente. Da questa presa d’atto nasce la legge 40, legge d’incontro tra visioni diverse, che tende la mano a chi non riesce a procreare garantendo un rispetto minimo della vita umana embrionale. Ma se la provetta diventa diritto universale, come si vorrebbe ottenere col ricorso presentato lunedì dal Tribunale di Roma alla Corte Costituzionale, con tutta evidenza una legge non ha più senso. Svellere oggi la palizzata che ha messo al bando quel calpestamento sistematico della dignità umana vuol dire però restituire il più indifeso di noi – «il concepito», lo chiama la legge, riconoscendolo soggetto di «diritti» – a qualcosa di peggio del far west. Ad attenderci c’è infatti il suk iperliberista (altro che solidarismo...), il bazar della vita manipolata, il catalogo della selezione. Si chiama eugenetica, è teorizzata da ideologie a esito totalitario, e sembra poco educato ricordarlo: ma è la verità, e dimenticarlo significa non accorgersi che, restituita al “libero mercato”, la produzione di vita umana non tollererà più freni né limiti, nel nome – s’intende – dell’uguaglianza e di un asserito diritto al “figlio sano”. Noi siamo per studiare e curare le malattie, non per uccidere il malato prima che nasca. In mezzo non c’è solo una legge, ma uno scarto di civiltà.
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