venerdì 8 luglio 2016
Una madre surrogata inglese si è vista riconoscere in tribunale il diritto di tenere il bambino partorito da lei e di non doverlo consegnare alla coppia che glielo aveva commissionato (in nero).
Utero in affitto, «Il figlio resti alla madre»
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Il bambino nato da madre surrogata ha diritto di non essere strappato alla donna che l’ha partorito, anche se non ne condivide il patrimonio genetico. E deve restare con lei. Il superiore interesse del piccolo non è dunque essere consegnato alla coppia committente, come ripetono i tribunali italiani. È l’importante principio stabilito dalla sentenza di una corte inglese accogliendo la richiesta della donna che aveva affittato il suo grembo a una coppia di gay in cambio di 9mila sterline (10.500 euro). Un accordo sottoscritto eludendo la legge inglese, in vigore da più di 30 anni, che prevede un regolare contratto tra le parti e un rimborso spese fino a un massimo di 15mila sterline ma con clausole che tutelano la volontà della madre a pagamento, libera di cambiare idea fino al momento del parto e di tenersi il bambino. Proprio ciò che volevano evitare gli aspiranti genitori (in realtà è biologicamente tale solo uno di loro, con gli ovociti femminili acquistati sul libero mercato globale dei gameti da una "donatrice" americana), ricorrendo a un contratto standard scaricato da Internet e firmato su un tavolo di fast food, tanto che la stampa britannica l’ha definito il caso del «Burger King Baby». In quest’unico incontro con la donna appena ventenne, «vulnerabile» e «in una situazione di difficoltà economiche», come ha riconosciuto il giudice, fu pattuito che il concepimento dell’embrione e il suo impianto in utero sarebbe avvenuto in una clinica di Cipro, fuori dai confini della legge inglese, a conferma del fatto che la legalizzazione della maternità surrogata non cancella ma fa fiorire il mercato nero. Durante la gravidanza – gemellare – la donna venne in contatto con la madre (anch’ella surrogata) di altri due gemelli della stessa coppia, che le confidò i guai passati per quella maternità in cambio di una miseria. Di qui i primi ripensamenti, con la decisione dopo aver perso uno dei bimbi di tenersi l’altro dopo il parto: «È il mio piccolo – disse –, l’ho messo al mondo, l’ho sentito scalciare dentro di me, lo sto allattando, lui è felice e molto amato. Sono terrorizzata all’idea che me lo portino via». In mancanza di un contratto, la legge non poteva tutelarla. Ma il giudice ha deciso diversamente, stabilendo che è lei la persona «più capace di corrispondere ai bisogni fisici ed emotivi del bambino, nonostante non abbia alcun legame biologico con lui». Il piccolo, attaccato al seno della mamma, non può che essere d’accordo.

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