venerdì 15 dicembre 2023
Dopo la tragica morte volontaria di Anna a Trieste con il Servizio sanitario nei due consigli regionali prevale la cautela su leggi locali. Ma Venezia boccia il potenziamento delle terapie palliative
La sede della Giunta regionale del Veneto a Venezia

La sede della Giunta regionale del Veneto a Venezia

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Dopo il suicidio assistito a Trieste di Anna, la 53enne malata di sclerosi multipla assistita da un medico del Servizio sanitario per il suo suicidio con un farmaco letale fornito dall’istituzione sanitaria pubblica territoriale, sia in Friuli Venezia Giulia che in Veneto cresce il pressing, da parte di alcuni ambienti politici, per l’approvazione della proposta di legge popolare sul fine vita, sulla quale s sono mobilitati i radicali dell’Associazione Luca Coscioni che si battono da sempre per legalizzare l’eutanasia.
Ma a Trieste il presidente della Regione, Massimiliano Fedriga, che è anche il coordinatore della Conferenza delle Regioni, ha detto che «è una scelta politica» anche «quella di non voler legiferare, condivisibile dal mio punto di vista». E si è rammaricato dei «festeggiamenti» con cui sarebbe stato accolto il suicidio di Anna: «Mi sembra qualcosa di veramente lontano dal senso umano che dobbiamo dare alla vita».
È molto improbabile, dunque, che in Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia si discuta a breve della proposta di legge. E, nel caso, i voti mancherebbero: non solo di gran parte del Centrodestra, ma anche qualcuno del Pd.
Analoga la situazione in Veneto. In Commissione Bilancio a Palazzo Ferro Fini, a Venezia, non è stato approvato il parere per il pdl sul fine vita, da portare in Consiglio regionale il 19 dicembre, in quanto sono stati sollevati una serie di dubbi sulla proposta di stanziamento da parte della Giunta regionale. La struttura tecnica dell’esecutivo Zaia ha infatti valutato in 250mila euro all’anno il costo per la prestazione consistente nell’assistenza medica, inclusi il farmaco, macchinari ed eventuale degenza ospedaliera o accesso al domicilio per la preparazione dell’autosomministrazione.
Su questo punto sono emerse questioni legate alla quantificazione effettiva del costo, che viene considerato eccessivo da alcuni consiglieri, oltre alla complessa qualificazione giuridica del costo stesso. Per la Giunta si tratta di un “extra Lea” (Livelli essenziali di assistenza), per altri consiglieri di un Lea. Per altri consiglieri e per i proponenti la copertura finanziaria non è necessaria trattandosi di prestazioni che rientrano nell’ambito delle pratiche di sedazione palliativa profonda per cui un soggetto sceglie quale prestazione chiedere al Servizio sanitario, con la pratica del suicidio assistito che avrebbe già le coperture previste “per analogia”. Ma – ammette Roberto Bet, consigliere regionale della Lega, tra l’altro particolarmente vicino al presidente Luca Zaia – questa è una ricostruzione che ha palesi elementi di infondatezza: «Credo che il tema della qualificazione giuridica della prestazione abbia messo in evidenza, se ancora ce ne fosse bisogno, la carenza normativa nazionale sul tema, mettendo a nudo il fatto che oggi prevedere una prestazione sanitaria di assistenza al suicidio non è praticabile dal Servizio sanitario regionale. Per i casi di fornitura del farmaco e dell’assistenza sanitaria che abbiamo visto praticare fino a oggi, vedi ad esempio il caso triestino, siamo di fronte a un problema di spesa sanitaria a oggi ingiustificata e non supportata da nessuna norma giuridica, quindi temo vi sia il rischio di un danno erariale».
Diverso, secondo Bet, il tema della verifica dei presupposti indicati nella nota sentenza della Corte costituzionale sulla materia «cui siamo tenuti come Servizio sanitario regionale, al fine di escludere la punibilità del medico che aiuta al suicidio. Su questa attività non vi è una espressa indicazione della spesa e su questo sarebbe a mio avviso necessario dare indicazioni chiare».
Come a Trieste, anche a Venezia ci sono consiglieri regionali del Pd contrari. «A mio parere, ma anche dell’Avvocatura dello Stato, competente non è la Regione bensì il Parlamento nazionale – è la posizione di Anna Maria Bigon, vicepresidente della Commissione consiliare Sanità –. Questa proposta di legge viene chiamata dai promotori “libertà di scegliere”. E allora mi chiedo : c’è una vera e consapevole libertà quando non si ha accesso concreto alle cure palliative? Competenza della Regione è sicuramente quella di potenziare e garantire a tutte e a tutti le cure palliative necessarie, per evitare che il dolore fisico – a volte davvero insopportabile – porti i malati terminali a decisioni che senza l’assistenza di quelle cure non sarebbero davvero libere e consapevoli. È nostro dovere, è dovere della sanità pubblica garantire a tutti e a tutte queste cure che a oggi, in Veneto, raggiungono a malapena il 30% degli ammalati che ne hanno diritto».
La stessa Bigon denuncia che nel dibattito sul bilancio appena approvato è stato bocciato l’emendamento con il quale si chiedeva un aumento di risorse pari a 20 milioni di euro per garantire a una platea più ampia di pazienti le cure palliative: «È un segno di grave incoerenza di questa maggioranza. Con apposita legge – ricorda ancora Bigon – la Regione si è assunta il compito di garantire adeguate cure palliative ai malati in stato di inguaribilità avanzata o a fine vita e di assicurare l’accessibilità a trattamenti antalgici efficaci. Eppure, nel 2022, i pazienti oncologici assistiti dalla rete di cure palliative e deceduti a domicilio o in hospice hanno toccato il 56,2% del totale, e il 25% del totale degli ammalati: un dato che evidenzia la persistenza di una quota di pazienti che ancora rischiano di non avere accesso a questa tipologia di prestazioni».

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