martedì 9 aprile 2024
Il caso della legge canadese mostra come la politica riesca a far entrare a pieno titolo all’interno del sistema sanitario la morte a richiesta. Mostrandola come soluzione persino desiderabile
E se morire diventa una scelta? La morte assistita per tutti

Agenzia Romano Siciliani

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«E se si potesse decidere, alla fine della propria vita, esattamente quando e dove avverrà la morte? E se invece di morire da soli, nel cuore della notte, in un letto d’ospedale, poteste essere a casa vostra in un momento di vostra scelta? Potreste decidere chi sarà nella stanza con voi, tenendovi la mano o abbracciandovi mentre lasciate questa Terra. E se un medico potesse aiutarvi a garantire che la vostra morte sia confortevole, pacifica e dignitosa? E se poteste pianificare un’ultima conversazione con tutti i vostri cari? Potreste non vedere più la morte nello stesso modo».

Non a caso inizia così un libro molto significativo, a riguardo: This is the assisted dying («Questa è la morte assitita») di Stefanie Green, dottoressa canadese passata dal lavoro al reparto maternità a quello di dottore della morte medicalmente assistita, fondatrice e presidente di Camap, l’associazione di chi valuta e procura la morte su richiesta in Canada. La Green racconta della sua esperienza nel portare a morire chi rientra nei criteri della Maid (Medical assistance in dying, assistenza medica alla morte), evidenziando come si tratti di questioni culturali e valoriali, prima che mediche: controllare la propria morte equivale ad esercitare un potere, un empowerment del paziente.

In tutti i Paesi dove queste leggi sono state approvate, nel tempo le maglie si allargano, saltano i limiti stabiliti all’inizio e, soprattutto, aumentano sempre, e sempre più velocemente, le morti procurate, come ha mostrato uno studio recente di Asher Colombo e Gianpiero Dalla Zuanna, Demografia del fine vita, dal quale emerge anche che chi sceglie di morire con assistenza medica, in applicazione delle leggi che lo consentono, non ricorrerebbe al suicidio non assistito, se queste leggi non ci fossero. In altre parole, le morti su richiesta si sommano a quelle che si avrebbero per suicidio non assistito e, in aggiunta, si osserva un aumento della tendenza a suicidarsi.

I sostenitori e i promotori delle leggi sulla morte medicalmente assistita dovrebbero quindi porsi una domanda: visto che con la legalizzazione di eutanasia e suicidio assistito aumentano sempre, dappertutto, le richieste di morte, possiamo essere soddisfatti di questo risultato? Siamo sicuri che l’aumento continuo del numero di persone che ritengono che morire sia preferibile a vivere sia un obiettivo da perseguire? O che sia un segno di benessere sociale delle società in cui questo avviene?

In Olanda, ad esempio, nel 2022 le morti su richiesta notificate sono state 8.720, pari al 5,1% dei decessi totali. La percentuale a una cifra non deve ingannare. Se lo stesso avvenisse in Italia, cioè se il 5,1% dei decessi italiani fosse dovuto al ricorso all’eutanasia legale, nel 2022 avremmo avuto più di 36.000 morti medicalmente assistite. Trentaseimilatrecentoottantotto in un anno, per la precisione. Un’enormità.

Fra gli Stati in cui è consentita la morte volontaria medicalmente assistita, il Canada è quello in cui il numero è aumentato più consistentemente e velocemente: si è passati da 1.018 decessi provocati nel 2016, anno di entrata in vigore della Maid, ai 13.241 del 2022. Dopo sei anni le morti per eutanasia sono arrivate a essere il 4,1% dei decessi totali canadesi. Per poter valutare questo trend, è utile fare il paragone con l’Olanda, dove la legge sull’eutanasia è in vigore dal 2002, e dove è stato necessario aspettare 14 anni, e arrivare fino al 2016 perché le morti su richiesta raggiungessero la stessa percentuale: più del doppio degli anni rispetto al Canada. Ma non basta: sempre nel 2022 le richieste scritte per Maid sono state 16.104, con un aumento del 26,5% rispetto all’anno precedente. La maggior parte delle richieste inevase è stata per morte sopravvenuta dei richiedenti, mentre diminuisce anno dopo anno la percentuale di chi non è stato riconosciuto idoneo all’accesso.

Dati che possono essere meglio compresi e spiegati se si conosce l’evoluzione della legge canadese, esito del contenzioso Carter vs Canada, del 6 febbraio 2015, con cui è stata stabilita l’incostituzionalità del divieto di assistenza al suicidio, ribaltando una sentenza di venti anni prima.

Fra le argomentazioni colpisce quella secondo cui il divieto di assistenza al suicidio limita il diritto alla vita (!): una persona malata che teme di perdere la propria autonomia e di raggiungere una condizione tale da non potersi più suicidare può essere spinta ad anticipare la morte, e a farlo quando è ancora in grado di auto-infliggersela senza aiuto. La possibilità di farsi uccidere da qualcuno, su richiesta, secondo questa logica, consentirebbe quindi di allungare l’esistenza. Per quanto riguarda il diritto alla vita, la Corte chiarisce comunque che da esso non si può dedurre un dovere di vivere.

Vale la pena soffermarsi per capire bene le implicazioni di ragionamenti che suonano piuttosto paradossali: per vivere più a lungo devo essere sicuro di potermi fare uccidere in una condizione ben precisa, cioè quando non sarò più capace di suicidarmi da solo, senza aiuto medico. Il che però significa che per “diritto alla vita” si intende “diritto alla vita autonoma”: suicidarsi quando si è in grado di farlo senza assistenza medica può significare darsi la morte quando ancora si potrebbero avere davanti mesi, o forse anni, di vita autonoma, cioè di vita degna di essere vissuta. Quindi in questo caso il suicidio accorcia la vita. Poter scegliere di farsi uccidere quando non si è più in grado di farlo da soli, invece, dà la possibilità di morire dopo aver vissuto tutti i giorni possibili di vita autonoma, senza perderne nessuno: darsi la morte nel momento in cui si perde l’autonomia non significa più accorciare la vita. Se ne deduce che in queste condizioni la vita non è più vita. E’ la perdita della autonomia, quindi, la linea rossa che decide quando la morte è preferibile alla vita.

E’ l’autodeterminazione come criterio di realizzazione e libertà personale portato alle estreme conseguenze, che finisce per rovesciare il significato di espressioni come “diritto alla vita” e fa emergere in modo tragicamente efficace il mutamento profondo e radicale degli orientamenti culturali e valoriali che stiamo attraversando nell’Occidente secolarizzato.

Analogamente a quanto sarebbe accaduto nel 2019 in Italia per la sentenza della Consulta relativa al caso di Fabiano Antoniani (noto come dj Fabo), la Corte canadese dà 12 mesi di tempo al Parlamento per esaminare la questione e legiferare. La Maid viene approvata il 17 giugno 2016, ma solo tre anni dopo una sentenza della Corte suprema del Quebec – Truchon c. Procureur gènéral du Canada – la dichiara incostituzionale, nella parte in cui prevede come requisito di accesso il fatto che per il richiedente la morte naturale sia ragionevolmente prevedibile: un criterio restrittivo, secondo la Corte, che mina i principi di libertà fondanti della normativa canadese.

Il 17 marzo 2021 viene approvato un nuovo testo, per il quale sono state avviate consultazioni pubbliche che hanno coinvolto circa 300.000 canadesi fra esperti, professionisti medici e non, rappresentanti dei territori, oltre a essere state effettuate audizioni parlamentari di 120 esperti.

La nuova Maid prevede due diversi percorsi, a seconda che la morte del richiedente sia prevedibile o meno. Allo stesso tempo dispone che si prendano in esame anche altre fattispecie di Maid, per valutare l’opportunità di inserirle o meno in un futuro testo, ulteriormente aggiornato. Si insedia quindi una commissione parlamentare dedicata, lo "Special Joint Committee on Maid", che ha il compito di esaminare, rispettivamente: richieste anticipate di Maid; la Maid per chi ha un disturbo mentale come unica condizione medica di base; la Maid per i minori maturi; la protezione delle persone che vivono con disabilità; lo stato delle cure palliative in Canada. La Commissione parlamentare si insedia nel maggio 2021, rilascia un rapporto ad interim nell’ambito della Maid e delle malattie mentali. E dopo 36 riunioni, 150 audizioni, più di 350 fra memorie e documentazione ricevuta, il 15 febbraio del 2023 pubblica il report finale, con 23 raccomandazioni, a cui il governo risponde il 15 giugno successivo.

La medesima nuova norma del 2021 pone particolare attenzione a una delle cinque problematiche, quella sull’accesso alla Maid di persone che abbiano come unica condizione medica una malattia mentale: la legge esclude per due anni, fino al 17 marzo 2023, questo particolare accesso, e dispone la formazione di un panel di esperti indipendenti che nel frattempo lo prenda in esame, per mettere a punto protocolli, linee guida e indicazioni di salvaguardia ad hoc. Il panel indipendente si insedia nell’agosto 2021 e il report finale viene presentato in Parlamento il 13 maggio 2022.

Il 9 marzo 2023 il Parlamento vota per ritardare di un ulteriore anno, fino al 17 marzo 2024, questo tipo di accesso alla Maid: secondo i ministri della Salute e della Giustizia «il nostro governo, le province e i territori e le loro comunità mediche hanno compiuto importanti progressi nella preparazione al marzo 2023. Ritardare l'ammissibilità per le persone la cui unica condizione medica è una malattia mentale consentirebbe di avere più tempo per la diffusione e l'adozione di risorse chiave da parte delle comunità mediche e infermieristiche».

Inoltre, in attuazione delle raccomandazioni della commissione parlamentare, è stato istituito un ulteriore gruppo di lavoro, stavolta di esperti indipendenti: il "Maid Practice Standards Task Group", che ha prodotto linee guida specifiche per uniformare gli standard (Model Practice standard for Maid), accompagnate da altro materiale informativo per i professionisti. Con un finanziamento di 3,3 milioni di dollari il governo ha inoltre supportato la Camap, l’associazione canadese di chi valuta e procura la morte su richiesta, che ha messo a punto un curriculum formativo in sette moduli, ciascuno dei quali consente di ricevere specifici crediti formativi: la struttura della legge; conversazioni cliniche per includere la Maid nelle opzioni del fine vita; come fare una valutazione per l’accesso alla Maid; valutazione della capacità e delle vulnerabilità; come procurare la Maid; casi complessi; Maid e disordini mentali. E’ previsto anche un argomento trasversale, “riflessione e resilienza”, trattato in tutti i moduli, che riguarda le migliori pratiche basate sull’evidenza e le risorse necessarie ai professionisti coinvolti, per ridurne lo stress e affrontare emozioni suscitate e aspetti della dimensione sociale della Maid.

Infine, per l’estate 2024 è atteso un nuovo report riguardante la Maid nella prospettiva delle popolazioni indigene e, in generale, un sostegno per un supporto culturale per le politiche legate alla Maid a tutti i livelli di governo. Un lavoro articolato e complesso delle istituzioni canadesi, sia a livello di attività parlamentare che di coinvolgimento della cittadinanza e dei professionisti interessati, con un robusto investimento del governo in risorse umane ed economiche al fine di far entrare a pieno titolo all’interno del sistema sanitario la morte volontaria medicalmente assistita.

Insomma, una promozione vera e propria da parte della politica, che ben contribuisce a spiegare il perché dell’impennata dei numeri delle morti su richiesta in Canada. Resta la domanda: siamo sicuri che l’aumento vertiginoso delle eutanasie canadesi possa essere definito un successo?
2-continua. La prima puntata si può leggere cliccando QUI

#percorsidifinevita

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