giovedì 14 novembre 2013
Secondo uno studio europeo, Italia e Germania sono i Paesi che più degli altri si fanno carico di questi malati che spesso restano a casa Nel 32% dei casi i nuclei vanno incontro a difficoltà economiche e il 34% deve rinunciare al lavoro.
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L’Italia è un modello in Europa per l’assistenza e la ricerca sugli stati vegetativi. «Da noi queste sono priorità, ma non è così in tutti i Paesi europei», dice con convinzione e orgoglio Matilde Leonardi, neurologa e responsabile della struttura di neurologia, salute pubblica e disabilità dell’Istituto neurologico Besta di Milano. Leonardi ha coordinato lo studio Precious, finanziato dal ministero della Salute e realizzato grazie alla collaborazione tra l’Istituto di ricerca e cura milanese, la Regione Emilia Romagna e l’Irccs Bonino Puleio di Messina. In queste settimane i dati di Precious sono stati presentati alle realtà europee che si occupano di stati vegetativi. Dal confronto è emerso che i problemi sono molti, ma la situazione italiana è, insieme con quella tedesca, l’unica in cui l’attenzione nei confronti del malato e della famiglia è il motore delle scelte: «Le istituzioni neuro-scientifiche – ragiona l’esperta – sono incalzate e stimolate a fare sempre il massimo nella ricerca grazie anche all’atteggiamento delle famiglie che non abbandonano i malati. In Italia il dibattito non è se si debba o meno sospendere l’alimentazione, ma come si possa migliorare la qualità della vita del paziente. E procedere con la ricerca. Sul cervello, dobbiamo sempre ribadirlo, sappiamo ancora pochissimo. Dobbiamo andare avanti, anche in tempi di crisi come quelli in cui viviamo».A spiegare come è sostanziale la differenza tra l’Italia e gli altri Paesi è Antonio Belli, professore alla Scuola di medicina e clinica sperimentale dell’Università di Birmingham in Inghilterra: «La legislazione sulle scelte nei pazienti in stato vegetativo – spiega – non è uniforme nel Regno Unito: in Inghilterra e Galles per sospendere l’alimentazione occorre andare davanti a un giudice. In Scozia no». Come d’altronde in Belgio e in Olanda.Precious ha aggiornato i risultati del primo importante studio sugli stati vegetativi che si era concluso nel 2010. Allora erano stati coinvolti 602 pazienti e 487 familiari in tutta Italia, oggi 275 pazienti e 216 familiari. «Un terzo del campione è deceduto – riprende Leonardi – che è quel che accade normalmente. Ci ha sorpreso, invece, aver ritrovato i pazienti migrati in varie parti d’Italia per essere curati. Dalla Sicilia a Milano, da Parma a Roma è un peregrinare che ha per forza un impatto sulla vita di tutto il nucleo familiare». I dati mostrano che nel 32% dei casi, la situazione creatasi in famiglia per la presenza di un congiunto con «disordine della coscienza» causa gravi difficoltà economiche. Il 34% dei familiari, inoltre, è costretto a rinunciare al lavoro, in maniera temporanea o definitiva, per accudire il parente.La maggioranza delle persone in stato vegetativo sono maschi tra i 50 e i 55 anni. Il 90% è sposato. «Ci sono figli che restano senza padre – puntualizza Leonardi – e di cui nessuno parla. Abbiamo cercato di conoscere, per la prima volta, le loro storie familiari. I più giovani tra i pazienti in stato vegetativo sono stati riportati a casa». È ciò che accade ad esempio in Umbria. Mauro Zampolini, direttore del dipartimento di riabilitazione della Usl Umbria 2 spiega che in questa regione convivono una rete ospedaliera di riabilitazione e una territoriale, collegate assieme.In Umbria «ogni anno abbiamo 25 nuovi casi di stati vegetativi – spiega Zampolini – e di minima coscienza, ma l’identificazione non è un marchio a vita: lo stato vegetativo è in un certo senso una condizione di transito, si può rimanere così, evolvere in negativo e diventare stati di minima coscienza». Proprio per migliorare la qualità della vita nella regione sono previsti ricoveri periodici: «Perché le famiglie che scelgono di portarli a casa hanno un grosso carico assistenziale sulle spalle».Tra le varie esperienza di assistenza residenziale che si stanno sperimentando c’è «Casa Iride» che a Roma, da quasi sei anni, accoglie come «in famiglia» le persone in stato vegetativo. Francesco Napolitano, presidente dell’associazione «Risveglio», l’ha creata a Roma dove da poco è nato anche il «Centro Adelphi», centro diurno per gli stati di minima coscienza e dove si fanno varie attività di riabilitazione, come la logopedia. «Ora – spiega Napolitano – che sappiamo molte cose grazie al progetto Precious (l’associazione "Risveglio" fa parte della Federazione nazionale trauma cranico, partner di Precious, ndr.) dobbiamo fare un passo ulteriore e, finalmente, arrivare a compiere una ricerca epidemiologica anche nel nostro Paese».
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