lunedì 1 settembre 2014
L’organizzazione «Women on Web» aggira i divieti, vigenti in parecchie nazioni, e fornisce la pillola Ru-486 Nessuna certezza nemmeno su chi riceva il farmaco realmente.
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«Women on Web» si autodefinisce un «servizio di sostegno alla telemedicina». Il gruppo fondato dall’olandese Rebecca Gomperts in realtà aiuta ad ottenere la pillola abortiva laddove l’aborto è vietato. Un “click” e il contributo suggerito di 90 euro bastano a spazzar via considerazioni morali e legali. In base al racconto del New York Times magazine, la 48enne ex attivista di Greenpeace aveva iniziato la sua sfida alle autorità nel 2001, cercando di fornire la pillola abortiva a donne irlandesi – e polacche e portoghesi tre anni più tardi – accogliendole su una barca battente bandiera dei Paesi Bassi e salpando verso acque internazionali per la somministrazione del farmaco. Negli ultimi otto anni, Internet avrebbe però reso obsoleto tale escamotage e il medico – a capo di un gruppetto di collaboratori, forniti di una mezza dozzina di computer – sarebbe libera di fornire il proprio «servizio di sostegno alla telemedicina» dall’America Latina all’Africa, all’Asia in quei Paesi dove l’aborto è vietato o limitato a casi eccezionali. Le richieste provenienti ad esempio gli Stati Uniti, dove esistono restrizioni legali al farmaco, sarebbero invece respinte. Ognuna delle duemila richieste mensili per la pillola abortiva RU-486 è trasmessa a uno dei medici che collaborano part-time con l’organizzazione e, se approvata, la ricetta per il farmaco è inviata a una società indiana che (nonostante il crescente intervento delle autorità per fermare il commercio illegale di medicinali) si occupa della spedizione al destinatario. Women on Web sarebbe quindi un intemediario tra le donne in cerca di aborto e i medici che – spiega il gruppo – «approvano il farmaco solo nei casi in cui la gravidanza è al di sotto delle nove settimane così da assicurarsi che l’aborto avvenga entro il primo trimestre». Un’operazione che «agisce legalmente», dice Gomperts che, però, non spiega come si possa determinare lo stato di una gravidanza via email e essere certi che la pillola abortiva non venga utilizzata da minorenni. Oltre al pesante aspetto etico di questo servizio d’aborto, non si può nemmeno trascurare quello sanitario. L’organizzazione manterebbe con le donne in cerca di aborto una linea di supporto telematico, spiegando loro come assumere il farmaco – meglio per via sublinguale per evitare che venga rilevato, e riportato alle autorità, durante una potenziale visita ginecologica d’emergenza – e consigliando di ricorrere alll’assistenza medica in caso di necessità. Gomperts minimizza i rischi, citando invece l’esigenza di aborti «sicuri». Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, nel 2008, oltre 21 milioni e mezzo di aborti sono stati fatti in condizioni precarie e sarebbero sfociati in 47mila decessi. Di fatto, però, anche la pillola abortiva è altamente rischiosa. Finora, in 2,3 milioni di “utilizzi” ci sono stati almeno 11 decessi, ma secondo il professore di ostetricia della Duke University, Monique Chireau, «tali cifre non sono accurate» perché non c’è un sistema statistico in materia e le donne che presentano complicazioni dopo l’assunzione della pillola abortiva sono spesso riluttanti ad ammetterlo. Ecco perchè, la Fda, l’organo di controllo farmaceutico Usa, impone sul farmaco un’etichetta nera, il massimo livello d’allerta.
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