venerdì 11 marzo 2011
Parla il presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita: seguire il testo del Senato. «Se non si fissa una norma, episodi simili a quelli di Eluana Englaro si possono moltiplicare tutte le volte che vi saranno persone intenzionate a percorrere quella via tragica».
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«Una legge a protezione della vita è necessaria», il cardinale Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita, non ha dubbi sul dovere di approvare una normativa sul fine vita, portando a termine l’iter iniziato alla Camera. Il porporato auspica che sia varata una legge «la più vicina possibile» al disegno varato dal Senato nel marzo del 2009, e si trova d’accordo con l’ultimo aggiustamento subito dall’articolato in seguito al parere espresso dalla Commissione Affari costituzionali, cioè la cancellazione del carattere vincolante del parere espresso dal collegio di specialisti in caso di contrasto tra medico curante e fiduciario sulla attuazione delle dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat). «È indispensabile legiferare, al punto in cui siamo giunti – spiega il bioeticista – in particolare dopo la tragica conclusione della vicenda di Eluana Englaro, per cui non si riuscì a varare un decreto che potesse correggere la decisione della magistratura di farle sospendere idratazione ed alimentazione. Se non si fissa una norma, episodi simili a quelli della giovane di Lecco si possono moltiplicare tutte le volte che vi saranno persone intenzionate a percorrere quell’itinerario di morte. E questo non si può consentire». È in gioco dunque il principio della indisponibilità della vita umana?Infatti. È un valore tutelato dalla Costituzione e da tutto il nostro ordinamento. E sono convinto che si tratta di un principio riconosciuto da una maggioranza molto ampia di italiani. È il valore base a cui deve essere improntata tutta la legge sul fine vita, ivi comprese le Dat.Qualcuno preferisce la dizione "testamento biologico"...È una denominazione inaccettabile, perché in questo caso si intende che le volontà espresse dalla persona sono vincolanti, confliggendo con il principio della indisponibilità della vita umana. L’obbligo tassativo per il medico di mettere in atto la volontà espressa "ora per allora" è insostenibile.In che punto è violato il principio?Con la vincolatività delle Dat, di fatto si stabilirebbe il potere di qualcuno di disporre sulla vita umana, che sia quella propria o quella di altri. Verrebbe violato anche il principio di uguaglianza tra gli uomini. Lei nel 2003 faceva parte del Comitato nazionale per la Bioetica. Quale fu allora la principale preoccupazione nella elaborazione del parere sulle Dat?Si pose molta attenzione alla denominazione, rifiutando tanto la parola "testamento", quanto "disposizioni", in quanto implicavano un carattere vincolante. Si è scelto invece il termine "dichiarazioni", per indicare un’espressione di orientamenti, di desideri, dei quali il medico tiene conto, se riscontra che la loro attuazione è conforme al principio della indisponibilità della vita e al bene del paziente.E la Convenzione di Oviedo? Quel parere era perfettamente in accordo con tale documento. Ricordo anche che, nella elaborazione della Convenzione del Consiglio d’Europa, si evitarono volutamente termini che avessero un peso tale da obbligare il medico a mettere in atto quanto scritto nelle dichiarazioni di volontà della persona riguardo ai futuri trattamenti medici.Come si inserisce in questo contesto il ruolo del medico?Questo è un altro punto decisivo, perché il medico ha una responsabilità, anzi, un dovere di garanzia.In che senso?È proprio il suo profilo professionale ad assegnargli questo ruolo di garanzia. Una responsabilità che esercita rispetto alla stessa salute del paziente, alla sua coscienza professionale, allo Stato e, diciamo, di fronte alla cittadinanza tutta. Per cui una persona che voglia esercitare un rifiuto attuale di terapie necessarie alla salvaguardia della propria vita non può pretendere la sua collaborazione. Anzi, deve espressamente interrompere il rapporto con il medico, assumendosi personalmente la responsabilità fino al punto di abbandonare di sua volontà la struttura sanitaria. E nel caso del "testamento biologico" ?Facendo crollare con delle norme o con degli escamotage il ruolo di garanzia della vita e della salute del paziente esercitato dal medico, si scardina un caposaldo della Costituzione e della professione medica. Allora quali sono le indicazioni da ricavare per la legge?Che le Dat, oltre ad essere redatte in forma scritta e rinnovate dopo un certo periodo di tempo, non possono essere vincolanti nel momento in cui si verificano circostanze nuove che spetta al medico curante valutare. Quali altri compiti spettano al medico?Evitare sia l’accanimento sia l’abbandono terapeutico, e garantire il sostegno vitale fornito da alimentazione e idratazione, che non sono terapie mediche. C’è un dovere di evitare anche ogni forma di eutanasia...Infatti, però sarebbe opportuna nel testo in approvazione una definizione precisa. L’eutanasia è un’azione o un’omissione di un intervento che mira di fatto e con le intenzioni a interrompere la vita o anticipare la morte, sia pure con l’intento di lenire o interrompere il dolore. Altre limature possibili?Sarebbe auspicabile una precisazione sulla platea dei soggetti per i quali entrano in vigore le Dat, perché l’allargamento avvenuto alla Camera appare un po’ generico e tale da richiedere precisazioni. Ad esempio, i malati di Parkinson e di Alzheimer in certe condizioni non sono in grado di comprendere le indicazioni del medico e di decidere, ma sarebbe un errore trattarli allo stesso modo degli stati vegetativi persistenti e toglier loro certe terapie proprie della loro patologia. Ci potrebbe essere un rischio di abusi. Anche l’aggiunta fatta a Montecitorio sulla sospensione della idratazione ed alimentazione, quando essa non è più efficace, è una specificazione superflua: non vorrei che apra uno spazio di arbitrio. Quali indicazioni dare per l’applicazione della legge?Aumentare i sostegni e le disponibilità per le terapie palliative; servono assistenze specifiche per malati terminali e gli stati vegetativi. Va inoltre estesa la formazione per tutto il personale sanitario, anche nei corsi universitari. Che cosa ha da dire il magistero della Chiesa sulle patologie nelle quali la coscienza sembra scomparire...Già quattro anni fa il Santo Padre nella udienza ai partecipanti al congresso sugli stati vegetativi promossa dal Pontificio consiglio per la vita, evidenziò che già il termine stato vegetativo è ambiguo. Non ci troviamo di fronte a un vegetale, ma a un uomo. Spesso confondiamo incapacità di espressione con perdita di coscienza. Quindi, è necessario un atteggiamento di estrema prudenza. La ricerca recente non ha fatto che confermare quella indicazione etica.
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