giovedì 6 marzo 2025
Un mese ci lasciava lo psicologo clinico dell’Istituto nazionale dei Tumori di Milano, indimenticabile figura di medico e di uomo. Il ricordo vivido di una collega oncologa pediatrica
Carlo Alfredo Clerici con uno dei giochi di prestigio con cui incantava i piccoli pazienti oncologici

Carlo Alfredo Clerici con uno dei giochi di prestigio con cui incantava i piccoli pazienti oncologici

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A un mese dalla morte, viene celebrata giovedì 6 febbraio alle 17.30 all’Istituto nazionale dei Tumori di Milano una Messa in suffragio di Carlo Alfredo Clerici, psicologo clinico, esperto di spiritualità della cura, che all’Int ha dedicato la sua vita di uomo di cura e di scienza, lasciando una profonda impronta della quale sono segno le testimonianze di pazienti e colleghi (come l'omelia alle sue esequie dell'amico cappellano don Tullio Proserpio). Come quella che pubblichiamo.

Sono trascorsi ventisette anni da quando intravidi per la prima volta aggirarsi in reparto, al mio ritorno da una maternità, l’allora giovanissimo – come è sempre rimasto – Carlo Clerici, invitato a far parte del nostro gruppo con la vocazione, e la specialità, dello Psicologo clinico.
Dico vocazione perché questo era davvero il suo tratto: la confidenza e la fiducia che subito si avevano nei suoi confronti non erano mai deluse dalla disattenzione o dalla superficialità, ed erano infinite. Non aveva interesse per i numeri della sua attività: non era portato per le grandi analisi: e lo diceva, con semplicità e anche una punta di snobismo, che per lui i numeri non erano mai diventati amici. Aveva cessato, diceva, i suoi rapporti con la matematica con l’introduzione in terza elementare delle divisioni a due cifre.
In compenso non abbandonava mai il singolo, di qualunque ceto, cultura, nazionalità, lingua nota o del tutto ignota. Per poter comprendere e consolare le famiglie dei bambini malati ed esuli dall’Ucraina si era appiccicata nel suo studio – meglio dire nella sua WunderKammer – una cartina dell’Ucraina dove faceva disegnare alle mamme e ai pazientini il pallino colorato del loro paese di provenienza per dare un significato concreto al viaggio, ma anche al ritorno.
Riusciva a trarre il buono da chiunque: capivi che era serissimo quando ti ascoltava anche se faceva sparire e ricomparire una montagna di caramelle da una scatola misteriosa con una magia che poi insegnava ai bambini, che diventavano i suoi abili colleghi.
Nessuna storia generava in lui scandalo, ma veniva trasformata in esperienza scientifica: dal basso verso l’alto, dal piccolo verso le grandi idee, tutto era fonte di rispetto e ispirazione. E tutti, pertanto, lo cercavano. Non faceva pubblicità di quanti pazienti e non-pazienti a lui ricorressero, con uno stile prudente e lieve che era la sua vera nobiltà.
Vitale di idee sempre originali e apparentemente a volte paradossali, cercava in noi colleghi meno fantasiosi la concretezza che rendesse prassi le sue intuizioni e le sue passioni, con grande rispetto per la nostra medicina più convenzionale.
E amavamo ridere insieme. Anche durante la sua malattia, rara come lui, e come lui invincibile.
Non posso pensare che tra i suoi numerosissimi allievi qualcuno non abbia saputo, almeno in parte, cogliere il suo insegnamento e il suo stile.
Noi tutti, qui in Pediatria, lo stiamo aspettando.
* Direttore SC di Pediatria
Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori - Milano


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