domenica 24 marzo 2024
Cnr con Università Campus Bio-Medico di Roma e Fondazione Don Gnocchi coordinano 25 partner nel progetto “Fit For Medical Robotics” per chi ha funzioni fisiche o cognitive ridotte (o nulle)
Esoscheletri, protesi, realtà aumentata: la robotica su misura del paziente

Foto Luigi Avantaggiato

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Più di 50 studi avviati su oltre 2.000 pazienti in 25 strutture cliniche e di ricerca presenti in tutto il territorio nazionale: a un anno dal suo avvio, il progetto “Fit For Medical Robotics” corre verso il traguardo di una robotica personalizzata per la cura e la riabilitazione.
Tutti i presidi tecnologici più avanzati in questo ambito quali robot, esoscheletri, protesi di arti superiori e inferiori, sensori indossabili, sistemi di realtà aumentata e virtuale e molto altro non erano mai stati analizzati, finora, in modo sistematico. Per arrivare, viceversa, all'obiettivo di poter applicare la tecnologia più adatta al paziente con funzioni motorie, sensoriali o cognitive ridotte o assenti, era necessario connettere tutte queste strategie e conoscenze: ecco come è nato “Fit For Medical Robotics” che, grazie a un finanziamento di 126 milioni di euro nell’ambito del Piano complementare al Pnrr del Ministero dell’Università e della Ricerca, ha riunito 25 partner, tra cui università, centri di ricerca e clinici, realtà industriali, capitanati dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) con Università Campus Bio-Medico di Roma e Fondazione Don Gnocchi.

Foto Patrizia Tocci

«La robotica vanta ormai una storia di qualche decennio nella riabilitazione – spiega Loredana Zollo, ordinario di Bioingegneria e preside della Facoltà di Ingegneria dell’Università Campus Bio-Medico di Roma –. Il nostro progetto ha avuto sin dall'inizio una finalità chiara, ovvero coprire il vuoto nella standardizzazione delle cure, passo obbligato verso una tecnologia robotica “su misura”, ovvero indicata per la specificità di ciascun paziente, sulla base della sua malattia, età, modalità e tempi di utilizzo e altre variabili, per prescrivere, esattamente come si fa con un farmaco, la terapia più appropriata. Avevamo soltanto tanti piccoli studi con pochi pazienti arruolati, dunque serviva avviare un'azione sinergica per razionalizzare ciò che la robotica oggi è in grado di offrire, ed è davvero tanto».

Questa sorta di censimento include, dunque, un ampio spettro di tecnologie quali robot in grado di fornire assistenza fisica e cognitiva, la protesica più avanzata che compensa non solo l'arto mancante ma anche la sua funzione sensoriale, prototipi che devono completare il percorso di sperimentazione sui pazienti, la progettazione di nuovi componenti per il futuro. Questa logica permetterà, in prospettiva, di distribuire le risorse disponibili in modo più omogeneo ed efficace sull'intero territorio nazionale, fornendole laddove servono davvero.

«Lo scenario non è solo futuristico ma, anzi, nella maggior parte dei casi è più che realistico: stiamo cioè parlando di tecnologie già mature per l'utilizzo – precisa Zollo –. Ad esempio, stiamo cercando di promuovere una tecnologia che unisce l'assistenza di tipo fisico al supporto cognitivo: si tratta di un robot in grado di comunicare con un algoritmo, con una telecamera integrata nella testa che osserva i movimenti del paziente ma anche la sua espressione facciale. Se rileva stanchezza, il robot “parla” facendo rimodulare l'esercizio come farebbe un vero e proprio fisioterapista. Il sistema combina, cioè, la manipolazione fisica con l'interazione verbale. Un approccio olistico, insomma, che potrebbe rivoluzionare il modo in cui i robot vengono utilizzati nella riabilitazione, migliorandone l'efficacia complessiva: sono importanti non solo gli aspetti fisici del recupero, ma anche quelli legati alla sfera emotiva e psicologica».

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