lunedì 5 settembre 2022
La Corte europea per i diritti umani ha deciso di non prendere in esame il ricorso della Fondazione Lejeune al divieto di mettere in onda «Dear Future Mom», filmato contro lo stigma (e l'aborto)
Un fotogramma di "Dear future mom"

Un fotogramma di "Dear future mom"

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Nel 2014 diventò un fenomeno mediatico, in Francia e non solo: con il video «Dear Future Mom» CoorDown – il network di associazioni delle persone con Sindrome di Down – volle far riflettere sul pregiudizio che grava sulle persone con trisomia 21 con la loro stessa voce, rivolgendosi idealmente alle mamme in attesa perché non temessero l’arrivo di un figlio che porta con sé l’anomalia genetica. Con la voce di quindici persone Down da diversi Paesi e in svariate lingue il video sosteneva che «le persone con la Sindrome di Down possono avere una vita felice. Anche grazie a tutti noi». Un video commovente, che in Italia fu rilanciato da Avvenire riscuotendo vasto favore, presentato alle Nazioni Unite e pluripremiato al Festival della pubblicità di Cannes. Ma la popolarità non lo salvò dalle forbici della censura. In Francia il Consiglio superiore dell’audiovisivo (Csa) fermò la messa in onda del filmato sulle emittenti tv perché «non può essere considerato come un messaggio d’interesse generale e la sua finalità può apparire ambigua e non suscitare un’adesione spontanea e consensuale». Argomentazioni fumose per annacquare il vero motivo dell’incredibile bavaglio: secondo il Csa il video poteva «disturbare la coscienza delle donne che, nel rispetto della legge, hanno fatto scelte diverse di vita personale». In altri termini, l’aborto di un bambino al quale in gravidanza è stata diagnosticata la Sindrome di Down.

La Fondazione Jerome Lejeune – l’associazione francese, parte della rete di CoorDown, intitolata al grande genetista del quale è in corso la causa di beatificazione, scopritore della trisomia 21 – ha ingaggiato una battaglia legale contro la censura del video senza arrendersi neppure dopo la conferma del blocco alla messa in onda da parte del Consiglio di Stato francese. Ma ora deve digerire un colpo basso che è forse più indigesto di tutti gli altri: rivolgendosi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che a Strasburgo è custode dell’applicazione di quella Convenzione per i diritti umani che non ammette discriminazioni tra persone umane, la Fondazione sperava di vedere rioconosciute le proprie ragioni. Ma la Corte – organismo che fa capo al Consiglio d’Europa – ha dichiarato irricevibile il ricorso della Fondazione Lejeune e di Ines, giovane francese con Sindrome di Down, ritenendo che non possono considerarsi vittime ai sensi della Convenzione. E ha rifiutato di pronunciarsi nel merito della questione, senza ascoltare la voce di Ines. Restano validi in Francia i limiti a «Dear future mom»: non può essere trasmesso come filmato a se stante ma solo in un programma in cui sia «inquadrato e contestualizzato». Va detto che la Francia – patria di Jerome Lejeune – resta isolata in questa sua posizione: in altri Paesi lo si considera come un ottimo strumento contro lo stigma sociale.

CoorDown non si arrende e annuncia di voler andare avanti per indurre l’autorità francese per l’audiovisivo a «riconsiderare la sua decisione per porre fine a questa discriminazione, soprattutto perché il contesto attuale favorisce ampiamente l’inclusione delle persone con Sindrome di Down».

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