martedì 5 marzo 2024
La Carta fondamentale è il massimo strumento di tutela dei diritti di chi è più bisognoso di protezione. Le istituzioni francesi hanno scelto di tradire questo principio. Con precise conseguenze
"Shame", vergogna: un cartello della manifestazione di protesta davanti al palazzo di Versailles dov'è stata varata la riforma della Costituzione francese

"Shame", vergogna: un cartello della manifestazione di protesta davanti al palazzo di Versailles dov'è stata varata la riforma della Costituzione francese - Ansa

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La Francia ha inserito con una votazione nella sua Costituzione, espressione di una maggioranza ampia e trasversale, la garanzia della libertà della «donna di interrompere la gravidanza». Nella sostanza, il diritto all’aborto. Nel fare questo il Parlamento francese non è intervenuto a livello legislativo sul piano delle conseguenze e delle determinazioni secondarie, ma di ciò che è primario, la Costituzione, appunto, trasformando l’eliminazione dell’innocente prima della sua stessa nascita in qualcosa di giuridicamente e politicamente fondante.

Se si vuole commentare l’accaduto è di questo che si deve parlare. Di una logica di morte e di eliminazione che entra nella Costituzione in nome della libertà e dell’emancipazione femminile. Per gli estensori si tratta, infatti, di un primo passo in vista dell’introduzione nella carta costituzionale francese anche dell’eutanasia, così come di una modifica in questa stessa direzione della Costituzione europea che, se realizzata, decostruirebbe i fondamenti stessi della nostra casa comune.
Ora, si può leggere la scelta del Parlamento francese all’interno della contrapposizione tra pro-life e pro-choice, come se ci si potesse alternativamente schierare a favore della vita o della libertà, dimenticandosi del dinamismo che le lega intimamente e del fatto che l’esistenza non è un bene tra gli altri proprio perché è la condizione di possibilità di tutti gli altri beni, ivi inclusa la libertà. Nondimeno una lettura simile in questo caso non sarebbe adeguata né sufficiente.

Come è stato scritto, la generazione, infatti, è la figura da cui si origina ogni responsabilità, dal punto di vista non solo etico ma anche giuridico-politico, visto che ogni nuovo essere umano generato «nella sua totale non-autosufficienza» si trova altrimenti esposto al rischio di «ricadere nel nulla».

La responsabilità di evitare un simile destino è il fondamento di ogni altra responsabilità, dato che il generato esiste «nel suo pieno diritto» solo «nella sua totale dipendenza» da chi di quella responsabilità – i genitori, ma ultimamente la stessa società – si trova a essere investito. Questo il motivo, per cui, anche nel nostro ordinamento, l’aborto non può essere inteso come un diritto, restando invece un reato che viene depenalizzato a certe precise condizioni.

È dentro questo quadro che si comprende, allora, la portata della “svolta” francese, perché come il generato anche la stessa Costituzione è il luogo in cui il diritto mostra la sua strutturale non autosufficienza. Il sistema giuridico dei codici e delle leggi non vive, infatti, di sé stesso ma dipende da una Carta fondamentale che mostra la sua ultima dipendenza da una precisa visione dell’uomo, dei rapporti umani, della società: in fin dei conti da un’antropologia e un’etica, sul cui valore e riconoscimento si realizza non di rado un accordo sostanziale fra posizioni diverse.

Con la sua decisione, la Francia non ha proposto dunque una deroga al principio della tutela della vita e della difesa dell’innocente nel caso di conflitto tra il bene della vita del bambino e quello della libertà della donna, ma finisce per far discendere la stessa fondazione della sua convivenza civile dal diritto all’eliminazione dell’innocente prima della sua stessa nascita, sulla base di una logica di morte e di eliminazione che annulla quella stessa democrazia (intesa come capacità di riconoscere e rispettare i diritti di tutti) che pur vorrebbe fondare.

L’evento è stato celebrato da una folla che si è riversata davanti a una Tour Eiffel illuminata nel buio della notte con la scritta #MoncorpsMonchoix. Ma né il corpo né le nostre scelte sono un nostro possesso, perché il corpo non è una cosa, alla stregua di una macchina o una casa. Certo diciamo il “mio corpo”, ma come diciamo “la mia amata” o il “mio amato”, dove il pronome possessivo indica un legame, e in fondo una responsabilità. Non una logica proprietaria, che finisce inevitabilmente per annullare la libertà dell’altro, figli inclusi. A colpire, poi, è l’# che è stato messo davanti allo slogan, retaggio di quella logica tipica di X – un tempo Twitter – che è la metafora più riuscita di un pensiero senza pensiero che viene espresso in pochi istanti e caratteri, come una pubblicità. Perché l’# questo è prima di tutto. Un’etichetta commerciale così pervasiva da avvolgere di morte persino una Costituzione, declinando in senso proprietario la vita stessa dei figli.

* Professore Ordinario di Filosofia morale presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università Cattolica

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