mercoledì 11 giugno 2025
La morte assistita di uno scrittore 64enne malato di Parkinson nella sua casa di Chiusi secondo le recenti regole della Regione, impugnate dal Governo. Il cardinale Lojudice: vita umana inviolabile
Daniele Pieroni, lo scrittore abruzzere malato di Parkinson morto nella sua casa di Chiusi per suicidio assistito

Daniele Pieroni, lo scrittore abruzzere malato di Parkinson morto nella sua casa di Chiusi per suicidio assistito - Fotogramma.it

COMMENTA E CONDIVIDI

Daniele Pieroni, 64 anni, dal 2008 malato di Parkinson della provincia di Siena, ha chiesto e ottenuto di poter ottenere l’assistenza medica al suicidio in base alla legge della Regione Toscana approvata l’11 febbraio. È il primo caso di morte secondo la procedura prevista dalla discussa normativa regionale, che il governo ha recentemente impugnato davanti alla Corte costituzionale ritenendo che sia lo Stato e non le singole Regioni a normare tutto ciò che riguarda i diritti indisponibili, com’è indubbiamente la vita.

Dipendente da supporto vitale (la peg) per alimentarsi, «aveva contattato il numero bianco dell’Associazione Coscioni», che ha dato notizia del caso e che ne segue altri sei, «per ricevere informazioni su come accedere alla morte volontaria assistita». Seguendo le indicazioni di Marco Cappato, Pieroni aveva inviato richiesta formale all’Asl Toscana Sud Est il 31 agosto 2024, ricevendo il via libera il 22 aprile «per l’esito positivo delle verifiche previste dalla sentenza della Corte costituzionale nota come “Cappato-dj Fabo”». E «meno di un mese dopo ha confermato la volontà di procedere a casa. Il tutto – chiarisce ancora l’associazione – si è svolto nel pieno rispetto della procedura prevista dalla legge toscana e delle condizioni stabilite dalla Consulta».

Abruzzese di origine, Pieroni viveva a Chiusi, era giornalista, musicista e scrittore apprezzato, con premi importanti come il Montale fuori di Casa. Com’è avvenuto materialmente il suo suicidio? La fonte è ancora l’Associazione Coscioni: «A casa sua è stato preparato il farmaco letale, che l’uomo si è autosomministrato. Erano presenti, su base volontaria, due dottoresse e un medico legale della Asl, che hanno agito con grande umanità e professionalità». Dunque, se non è stata coinvolta una struttura ospedaliera pubblica lo sono state tre figure professionali che rispondono al Servizio sanitario. E che hanno collaborato a far morire un paziente: un dato di fatto su cui riflettere in vista di una legge nazionale.

Quello di Daniele Pieroni è dunque il primo caso in Italia di suicidio assistito “a norma di legge”, in questo caso regionale. La sua morte porta la data del 17 maggio ma è stata comunicata ieri dall’associazione protagonista della campagna per l’eutanasia legale e che ha depositato pochi giorni fa in Cassazione una proposta di legge di iniziativa popolare col medesimo obiettivo. Una differenza di tempi che impone una domanda: perché attendere quasi un mese per dare informazione del caso? L’indizio per una possibile risposta è nell’intesa di massima, il giorno prima, raggiunta tra i leader della maggioranza per portare tra un mese nell’aula del Senato una proposta di legge sul suicidio assistito ispirata alla centralità del diritto alla vita, della tutela delle persone più fragili e delle cure palliative. La notizia, diffusa proprio il giorno dopo, di una morte per suicidio assistito sembra voler alzare l’asticella di ogni possibile dialogo tra governo e opposizione, e all’interno della stessa maggioranza, tutt’altro che compatta sulla materia.

Mentre il governatore della Toscana Eugenio Giani afferma che «la legge toscana sul fine vita ha colmato un vuoto» e che «si è limitata a tradurre in procedure obiettive, imparziali, neutre, uguali per tutti» (ma «occorre adesso una norma nazionale»), le voci della Chiesa e dei cattolici esprimono grande preoccupazione. «Di fronte alla malattia grave e alla sofferenza – afferma in una nota il presidente dei vescovi toscani cardinale Augusto Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino, vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza – dobbiamo prima di tutto affrontare la questione con il massimo rispetto e con la nostra preghiera, ma certamente ci tengo a sottolineare il principio dell’inviolabilità della vita umana, dal concepimento alla morte naturale. La vicenda ci lascia con una profonda amarezza ed è il segno di come sull’argomento del fine vita ci sia la necessità di un vero confronto a livello nazionale, lontano dai riflettori, che punti prima di tutto a ridare centralità alle cure palliative accompagnando il paziente non più guaribile nel tempo della sofferenza e del fine vita. La solitudine e il dolore devono trovare rete a cui aggrapparsi. Il diritto alle cure palliative è un diritto fondamentale da garantire a tutti i pazienti e sono convinto che su questo ci sia ancora tanto da fare».

Per Domenico Menorello, giurista e componente del Comitato nazionale per la Bioetica, portavoce di una rete di associazioni cattoliche nel network “Ditelo sui tetti”, «dalla cultrua dello scarto si passa allo scarto vero e proprio dei malati. Per la mentalità che ritiene la vita degna solo se di successo, fatta propria della Toscana, certe esistenze non hanno senso. Invece sono le vite deboli che dicono a tutti noi che l'esistenza è sempre grande, perché donata e perché riempita da una domanda di senso, che mai si spegne e che, quindi nessuno ha diritto di spendere. Mi domando come una amministrazione pubblica possa procedere con atti così antropologicamente eversivi, sulla base di una legge che è stata impugnata alla Corte costituzionale, nel cui giudizio saremo presenti anche noi associazioni».

Dall’opposizione del Consiglio regionale Marco Stella, capogruppo di Forza Italia, cita la recentissima sentenza 66 pubblicata dalla Consulta il 21 maggio nella quale si dice che «lo Stato deve curare e proteggere i fragili, non agevolare la morte, e che il suicidio assistito non è un diritto, ma un'eccezione». La Corte «non ha mai voluto inserire nel Servizio sanitario nazionale l'obbligo di procurare la morte a chi ne faceva richiesta; non ha mai voluto assecondare, come se fosse un diritto, il desiderio di suicidarsi contando sull'assistenza di un medico e a carico dello Stato», mentre «evidenzia che la libertà individuale non si può sovrapporre con il dovere dello Stato di proteggere i fragili» e «ribadisce che il principale dovere dello Stato è la cura dei più fragili e non la loro soppressione». Dunque «il desiderio di suicidarsi non è né un diritto né, da parte dello Stato, un dovere. Resta la possibilità di individuare, in via eccezionale, un'area di non punibilità».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI