venerdì 2 ottobre 2015
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Dal congresso della European respiratory society (Ers) ad Amsterdam arrivano notizie incoraggianti nel trattamento di una terribile e sottodiagnosticata malattia rara: la fibrosi polmonare idiopatica (Ipf). Idiopatica significa sconosciuta – nessuno conosce la causa precisa dell’Ipf – e per questa patologia, causata dalla cicatrizzazione (fibrosi) irreversibile e progressiva dei polmoni, che rende difficile respirare e impedisce al cuore, ai muscoli e agli organi vitali di ricevere ossigeno a sufficienza, non esiste attualmente cura. Le cifre, in costante crescita, parlano di circa 100mila malati negli Usa e 110mila in Europa. Il ritardo nella diagnosi, la progressività non prevedibile, i sintomi debilitanti e la prognosi infausta rendono la Ipf peggiore rispetto a molti tipi di tumore: metà dei pazienti non sopravvivono a tre anni dalla diagnosi, e il tasso di sopravvivenza a cinque anni è di circa il 20-40% . Ora due farmaci offrono risultati convincenti nella terapia e aprono speranze nella riduzione della progressione della malattia e nella diminuzione della mortalità a breve termine. Per quanto riguarda la perdita della capacità di respirazione, la Boehringer Ingelheim ha presentato gli esiti di uno studio clinico svolto in 24 Paesi che ha coinvolto 1.066 pazienti trattati con nintedanib. Il farmaco ha dimostrato di rallentare ben del 50% l’irreversibile declino della funzionalità dei polmoni, ma per poter contare su un intervento efficace è importante la diagnosi precoce. Lo ha ribadito il professor Luca Richeldi, docente all’Università di Southampton (Uk): «Per un pneumologo è una priorità diagnosticare questi pazienti prima possibile, perché i malati non recuperano più quello che perdono. Intervenire con la terapia quando la capacità polmonare è ancora all’80% significa fare la differenza». Inoltre, rispetto alla possibilità di riacutizzazione, i dati mostrano una riduzione del rischio del 68%, che si dimostra di vitale importanza: circa il 50% dei pazienti ricoverati per una riacutizzazione grave, infatti, muore durante il ricovero. La Roche ha invece concentrato i suoi studi sugli effetti del pirfenidone, riportando una riduzione del rischio di mortalità del 38% (rispetto a placebo) fino a due anni (120 settimane). Già i dati ad un anno mostravano una riduzione del 48%, ora questi nuovi elementi confermano una positività a lungo termine nei pazienti in trattamento con questo farmaco. Parallelamente si è dimostrata una riduzione superiore ai due terzi del rischio di progressione della malattia e di mortalità nei pazienti ospedalizzati nei primi sei mesi di trattamento. «Solo in Europa vengono diagnosticati 35mila nuovi casi ogni anno – ha spiegato il professor Steven Nathan, dell’Inova Fairfax Hospital in Virginia (Usa) – e l’unica cura attuale è il trapianto di polmoni. Ma solo il 5% dei pazienti ne beneficia e la sopravvivenza resta comunque molto bassa: avere a disposizione un farmaco è fondamentale». Notizie positive che arrivano alla vigilia della Settimana mondiale di sensibilizzazione sulla fibrosi polmonare idiopatica che si svolge dal 5 all’11 ottobre. Anche il nostro Paese –in Italia la malattia colpisce 9mila persone – partecipa con numerosi eventi-convegni, indagini spirometriche in piazza, ambulatori aperti, concerti e mostre fotografiche che coinvolgeranno cittadini e istituzioni. L’elenco completo delle manifestazioni è disponibile online sul sito dell’Osservatorio Malattie Rare www.osservatoriomalattierare.it

 

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