martedì 9 settembre 2014
Dopo Toscana, Marche, Emilia Romagna e Liguria, anche il Veneto annuncia di aver dato l'ok alla fecondazione eterologa. E presto toccherà alla Lombardia. Ma molti problemi sono ancora aperti.
Ricercando le origini. L'altra faccia dell'eterologa
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Salgono a cinque le Regioni che danno il via libera – sulla carta – alla fecondazione eterologa. Dopo la Toscana e le Marche, anche la Liguria, l’Emilia Romagna e il Veneto hanno annunciato di aver autorizzato i centri pubblici e privati a procedere con la discussa pratica non più vietata dalla legge 40 dopo la sentenza della Corte Costituzionale dello scorso aprile. La giunta della Regione Veneto ha approvato la delibera che apre dal 1° ottobre alla procreazione con ovuli e seme non appartenenti alla coppia di aspiranti genitori. «Voglio ricordare che non stiamo parlando di eugenetica» ha dichiarato il governatore Luca Zaia, che secondo alcuni però sopravvaluta come altri suoi colleghi l’efficacia del provvedimento regionale, assunto nel quadro delle regole generali pattuite nei giorni scorsi in sede di Conferenza delle Regioni, per una materia che impone un quadro regolatorio nazionale (si pensi solo al registro dei donatori, che non può che essere unico per evitare futuri matrimoni involontari tra fratelli) e che non includendo alcuna sanzione di fatto non impedisce la selezione eugenetica dei gameti. Zaia però lancia la sfida alle Camere: «Se lo Stato o qualche parlamentare dicono che ci vorrebbe una legge, la facciano». Per l’assessore veneto alla Sanità Luca Coletto, che è anche coordinatore dell’organismo tra le Regioni cui si deve l’accordo sull’eterologa dal quale è giunta la spinta a questa autentica corsa ad aprire a una tecnica della quale il Paese non avvertiva certo l’impellenza, «dopo la sentenza della Consulta possiamo dire tranquillamente che, essendo l’omologa sotto il tetto della procreazione assistita e quindi nei Lea (livelli essenziali d’assistenza), anche l’eterologa dev’essere per forza ammessa in Lea e sostenuta solo da un ticket». Il capitolo dei costi è infatti uno dei punti sui quali la gran fretta per concedere la nuova metodica potrebbe naufragare: ogni ciclo costa infatti ben 3.000 euro, e le Regioni sono orientate a introdurre ticket che vanno dalla cifra simbolica (è il caso del Veneto) ai 500 euro (la Toscana), con costi rilevanti a carico di un bilancio sanitario già agonizzante. Per questo si guarda con ansia all’apertura da parte del Ministero della Salute della cassa dei Lea, possibile – e ragionevole – però solo in presenza di norme certe e condivise in tutta Italia. Ovvero quando passerà una legge, i cui tempi – con questa corsa in ordine sparso delle Regioni – sono però tutt’altro che certi. Un altro scoglio per l’eterologa è la disponibilità di gameti e di donatori: a fronte di alcune centinaia di coppie che già risultano nelle liste d’attesa di ospedali e cliniche in attesa di poter tentare la strada del figlio con patrimonio genetico altrui, non risulta un’offerta adeguata di ovociti e sperma da parte di donatori. E per poter attingere a gameti eventualmente abbandonati nei congelatori dei centri specializzati da coppie che non ne hanno più bisogno occorre un iter certo non abbastanza rapido da evitare la fuga all’estero da parte delle coppie illuse dalla campagna mediatica del figlio a portata di mano. Proprio la volontà di non vedersi scappare questo nuovo mercato sembra alla base della formidabile spinta sulle autorità regionali, che sembrano pronte a passar sopra rilevantissimi interrogativi etici, umani, giuridici e clinici in nome di una fretta incomprensibile. Anche la Lombardia sembra ormai pronta a dare luce verde all’eterologa, anche se tra non poche polemiche. Nel dibattito in corso in Consiglio regionale le opposizioni di centro-sinistra si sono infatti lamentate con la maggioranza per i tempi del dibattito che a loro avviso non sarebbero stati sufficientemente ampi.

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