martedì 17 giugno 2014
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​Non c’è solo la Corte Costituzionale. La legge 40 è attesa a un nuovo esame mercoledì: la Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo deve infatti pronunciarsi sulla possibilità di donare alla ricerca embrioni prodotti in vitro e avanzati da cicli di fecondazione artificiale. Ovvero, deve decidere se l’embrione sia un essere umano portatore di diritti o una cosa su cui è permessa la sperimentazione. Il caso in esame è il n. 46470/11, «Adelina Parrillo vs. Italia». Parrillo è vedova da oltre dieci anni di Stefano Rolla, deceduto nell’attentato di Nasiriyah, col quale aveva concepito in vitro 5 embrioni crioconservati in un ospedale di Roma. A seguito della morte del proprio compagno, ha quindi chiesto nel 2005 di "donarli alla scienza". Per asserire la validità di questa sua opzione, in Italia proibita dalla legge 40 che all’articolo 13 vieta la distruzione di ogni embrione in provetta perché «soggetto titolare di diritti», la donna ha rimarcato il suo diritto di proprietà sugli embrioni concepiti e ha evidenziato la qualificazione dell’embrione come "una cosa". Nel ricorso, inoltre, si sostiene che gli embrioni erano stati prodotti prima dell’entrata in vigore della legge 40.
Contro questo ricorso sono intervenuti il Movimento per la vita italiano, il Forum delle famiglie e l’Associazione Scienza & Vita. In un’elaborata memoria, accolta dalla Corte (insieme ad altre di segno opposto), è stato portato all’attenzione dei giudici come la questione tocchi un aspetto essenziale: il riconoscimento della sempre uguale dignità umana fin dal concepimento. Il primo richiamo è alla Convenzione di Oviedo, il cui articolo 18 definisce i margini della sperimentazione sugli embrioni. Nella memoria presentata si fa riferimento esplicito alla prima parte di questo articolo, laddove è scritto che la legge deve assicurare una protezione adeguata dell’embrione anche quando la sperimentazione è permessa. Questo significa stabilire dei limiti e, anche se la precisazione di essi è lasciata alla discrezionalità degli Stati, su un aspetto interviene direttamente la Convenzione: in nessun caso è ammessa la produzione di embrioni a scopo di ricerca. La conferma della liceità del divieto generale di sperimentazione distruttiva di embrioni generati in vitro si ricava anche da altri elementi. Come nella risoluzione n. 1352 (2003) adottata dall’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa che ha per oggetto la ricerca sulle cellule staminali embrionali: «La distruzione di esseri umani a fini di ricerca è contraria al diritto di ogni essere umano alla vita e l’interdizione morale di ogni strumentalizzazione dell’essere umano». Di conseguenza la ricerca sulle cellule staminali è permessa «a condizione che essa rispetti la vita degli esseri umani in tutti gli stadi del loro sviluppo».
Più recentemente, il 18 ottobre 2011 la Corte di giustizia Ue ha pronunciato la sentenza 634/10 nella causa Brüstle-Greepeace con la quale si esclude nel modo più categorico che l’embrione possa essere considerato "una cosa" anche quando si trova in una provetta. Il caso Parrillo investe, in fondo, lo stesso tema proposto dall’iniziativa dei cittadini europei «Uno di noi», quando la Commissione di Bruxelles nel voltare le spalle ai due milioni di firme raccolte ha però evitato il dilemma fondamentale: oggetto o soggetto? Ora tocca a Strasburgo rispondere.
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