giovedì 29 novembre 2012
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I fatti sono familiari a chi segue queste pagine. A fine agosto la Corte europea dei diritti dell’uomo ha sentenziato che la legge 40 è incoerente e viola la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nella parte in cui ha vietato a una coppia italiana, portatrice sana di fibrosi cistica, di accedere alla diagnosi preimpianto degli embrioni. È di pochi giorni fa un’altra sentenza, questa volta del tribunale di Cagliari, che ha autorizzato una coppia, lei talassemica e lui portatore sano della malattia, a eseguire la diagnosi preimpianto in un ospedale pubblico. Entrambi i pronunciamenti hanno preso di mira, da prospettive diverse, l’articolo 13 della legge 40 sulla procreazione assistita, ossia quello che vieta «ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni». Il nodo sta qui. E il leitmotiv di chi di chi preme per legalizzare la selezione embrionale è quindi quello di negare il suo carattere eugenetico. L’ha ripetuto il neurologo Carlo Alberto Defanti, della Consulta di bioetica, intervistato sul settimanale Left-Avvenimenti: «L’eugenetica galtoniana non c’entra proprio nulla… le malefatte dell’eugenetica storica vengono usate per impedire l’accesso delle coppie consapevoli a procedure mediche collaudate». Lo ha ribadito indirettamente Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni nonché avvocato della coppia di Cagliari che ha vinto il ricorso, nella lettera di cui riportiamo stralci qui a fianco. Lo hanno detto le onorevoli Chiara Moroni e Flavia Perina di Futuro e Libertà, dopo aver aderito lo scorso agosto alla costituzione dell’Associazione Coscioni nel giudizio pendente davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo: «Non auspichiamo il far west procreativo, né la selezione eugenetica dei nascituri».
Forse i fautori della selezione di vite umane in embrione preferirebbero che si parlasse di "eugenetica liberale", secondo la definizione coniata nel 2004 dal bioeticista neozelandese Nicholas Agar. Secondo Agar l’"eugenetica liberale" è quella che rifiuta una pianificazione dall’alto e coercitiva delle misure per migliorare la specie umana – ciò che caratterizzava l’eugenetica "storica" – ma persegue un approccio puramente individuale al problema: in una società pluralistica, in cui convivono valori e posizioni etiche diverse, ognuno deve poter usufruire liberamente delle tecniche biomediche disponibili per ottenere quel che ritiene soggettivamente un miglioramento della propria progenie o della propria condizione di vita. Questo è l’approccio liberale, o libertario, che accomuna grosso modo tutti coloro che vorrebbero scardinare il divieto della diagnosi genetica preimpianto con selezione embrionale. Ma, pur "liberale", sempre di eugenetica si tratta: per impedire la trasmissione dei caratteri ereditari considerati sfavorevoli o dannosi, viene scartata la vita considerata non degna. Non solo, si tratta di un’eugenetica che, aggiornata e adeguata alla sensibilità contemporanea, resta la diretta discendente di quella storica – nata in Inghilterra con Francis Galton, come ricorda Defanti – e che ha prodotto i ben noti orrori soprattutto nella prima metà del ’900.
Un esempio tra tanti, per chiarirci. Nel 2010 è stato assegnato il premio Nobel per la medicina al biologo inglese Robert Edwards, padre, insieme al ginecologo Richard Steptoe, della fecondazione in vitro e pioniere della diagnosi preimpianto, di cui parlò nel 1968 in un articolo su Nature dedicato alla differenziazione sessuale degli embrioni di coniglio. Un dato biografico meno ricordato è che Edwards già nel 1965 era entrato a far parte della Società eugenetica inglese, fondata direttamente da Francis Galton nel 1907, madre nera del poderoso movimento eugenetico mondiale, che nel 1989 ha preferito cambiare nome in Istituto Galton. La Società eugenetica nel dopoguerra ha assunto un profilo più defilato, ma non meno attivo: da essa è nata, nel 1952 a Bombay, l’International Planned Parenthood Federation (IPPF), tuttora la più grande lobby mondiale per la legalizzazione dell’aborto e il controllo delle nascite. Edwards è membro da oltre 40 anni della Società, ed è stato per tre volte nel suo consiglio direttivo. Per chi avesse ancora qualche dubbio sul filo che lega l’eugenetica d’antan a quella più azzimata e presentabile di oggi, consigliamo di rileggere quanto detto dal premio Nobel in un’audizione alla Commissione scienza e tecnologia del Parlamento inglese, nel 2004, a proposito della diagnosi genetica preimpianto (Dgp) e della sua efficacia nel debellare le malattie ereditarie: «Possiamo probabilmente eliminare tutti questi geni se siamo preparati a pagare per il loro monitoraggio. Quando la gente dice che la Dgp è costosa, dico sempre: qual è il prezzo di un bambino disabile che nasce? Qual è il costo che ognuno deve sopportare? È un prezzo terribile per tutti, e il costo economico è immenso. Per una Dgp, a confronto, servono davvero pochi soldi».
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