sabato 5 febbraio 2022
Proteggere ciò che ci è più caro e irrinunciabile deve diventare cultura. Il suo contrario è lo scarto, cioè la distruzione della speranza umana
Custodire gli altri, il nostro canto di lode per la vita (così preziosa)

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Così preziosa, così fragile. Così bella, così insidiata la vita. Quel filamento di Rna, invisibile persino al microscopio, che si replica dentro le cellule umane, e muta e fa ammalare e fa morire gli uomini a ondate, ancor dopo due anni, è l’insidia biologica che ancora mette in ginocchio il mondo. La vita, il corpo, il nostro corpo fatto di centomila miliardi di cellule, bellezza di vita tra le infinite iridescenze della vita che ferve nel cosmo in mille forme, è un tempio; un respiro lo abita, un pensiero, un’autocoscienza, una libertà. Il bios si trascende nel mistero dello spirito.

L’homo sapiens non è solo un bio-uomo, è un soffio di Dio. Bellezza insidiata, la vita. Quasi un miracolo precario, un gioiello donato preso a bersaglio dalla contiguità della morte. A dar morte non ci sono solo le catastrofi e i morbi: anche il sapiens ne ha inventate di suo mille versioni, armi guerre e devastazione dell’ambiente; e oppressione dei poveri, e tra i più poveri la pandemia abortiva con la quale convive in accecata rassegnazione, o fors’anche promozione.

Come amare la vita, come salvarla? In favore della vita si muove un volontariato generoso, dai molti profili. Alcuni scrivono sulla loro bandiera "rispettare" la vita, altri "difendere" la vita, altri "proteggere" la vita. Tutte parole grandi: rispettare è dovere che nasce dai diritti individuali di ogni essere umano; difendere manifesta l’esigenza battagliera che fa fronte contro le derive di morte; proteggere esprime la sollecitudine sociale in soccorso delle fragilità umane.

Ma c’è ancora una parola che tutte sormonta, ed è "custodire". Custodire dice essenzialmente un cuore innamorato di ciò che tien caro. Non può lasciare che vada perduto, non può cedere, non può disertare, perché se ne è fatto responsabile. È una cultura, un pensiero profondo, una scelta, una vocazione. Questo infatti dice la parola "custodire": persino per le cose gli uomini preparano custodie, se son preziose, se son fragili. E le cose preziose son riposte e riparate e vigilate, perché nessuno le deturpi o le derubi. Le fragili sono protette perché non siano sciupate o distrutte. Ci si prende cura di ciò che ci è affidato in custodia, di ciò che ci è caro. Dunque tre cose stanno nella nostra esperienza a intendere il "custodire": la protezione, la vigilanza, la cura.

Se le proiettiamo sulla vita, subito appare la radicale peculiarità "umana" del custodire, quale vocazione originaria. Si legge nel Libro sacro che Dio pose l’uomo nell’Eden «perché lo coltivasse e lo custodisse». Si legge ancora che il primo delitto contro la vita si legò al rinnegamento d’esser "custode" del proprio fratello. E se trascorriamo attraverso i millenni fino a noi, contando le vite sfregiate non solo dall’odio ma dall’incuria e dallo scarto o dal rifiuto di esserne custodi, fino all’ecatombe di aborti nel mondo di oggi, vediamo quanto tragicamente persista la disumana deriva di una vocazione infranta.

Oggi che i sussulti climatici di un mondo sfregiato dall’incuria distruttiva e dissennata invitano perentoriamente l’uomo a ripensare il senso della civiltà, la custodia del creato deve diventare cultura, insediarsi nella coscienza. Farsi mente e cuore, e abitudine interiore, consapevolezza che la dignità di ogni cosa creata e in specie della vita umana si riconduce al dono del Creatore dell’universo, ha origine da quel Grembo d’amore. La custodia dunque è la parola della risposta umana coerente a questo dono, alla relazione della vita con la Vita, alla cultura della universale fraternità. In questa risposta si colloca non solo l’etica della giustizia solidale, ma l’etica del dono; del dono di sé che accoglie, e appunto "custodisce" responsabilmente la vita altrui.

Custodire, dunque, non è semplicemente un’azione, un lavoro: è una radice del pensiero che germoglia e fiorisce nell’anima, prima di dar frutto nei gesti e nel costume. Il suo contrario è lo scarto, cioè la distruzione, la sconfitta della speranza. Custodire è invece anche una festa, una pace, un conforto, un canto di lode.

Il messaggio dei vescovi italiani per la Giornata della vita è costruito attorno a questa parola: custodire. Credo debba essere letto con questo cuore, con l’attenzione gioiosa e operosa al mondo e a noi, a ognuno di noi, a cominciare dal tesoro racchiuso nel grembo, concepito e vivo fra noi, ed esteso all’intero dono della vita. Le tre luci, rispetto difesa protezione, fuse nell’unica luce che non si può spegnere: il custodire.


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