venerdì 15 novembre 2013
Un convegno della Fondazione Roma sulla necessità di rivedere i modelli assistenziali. Julian Hughes (Newcastle): rispetto al cancro questi problemi hanno un decorso lentissimo e diventano cronici. Monsignor dal Covolo: la persona ha sempre valore.
COMMENTA E CONDIVIDI
Quali cure palliative e come? Una diagnosi di inguaribilità getta il paziente e la sua famiglia in una condizione complessa che va affrontata investendo sulla formazione e con modelli assistenziali appropriati, pensati per abbattere barriere strutturali e culturali. Questo è tanto più vero quando la diagnosi infausta è relativa ai casi di demenza o di malattie neurodegenerative, che necessitano di criteri diversi rispetto ai trattamenti previsti per il cancro. «L’ora delle cure. L’integrazione dei modelli assistenziali delle cure palliative nel percorso dell’inguaribile», è il tema del convegno organizzato dalla Fondazione Roma per celebrare il 15esimo anniversario dell’apertura del primo Hospice dell’Italia centrale. L’evento si è svolto ieri a Roma, nell’aula magna dell’Università Lateranense e i lavori sono stati aperti dal rettore, monsignor Enrico dal Covolo, che ha ricordato come per poter instaurare un’efficace relazione di cura sia necessario che medici e infermieri si pongano alla pari rispetto al paziente. «Non si tratta di una semplice compassione, espressa dal sentimento di pena – ha ribadito del Covolo - ma di un ascolto empatico nell’accettazione paritaria dell’altro che è persona e ha sempre valore nella sua unicità». Il presidente della Fondazione Roma, Emmanuele F. M. Emanuele, ha ripercorso la storia e tracciato il bilancio dell’attività dell’Hospice Fondazione Roma, che fornisce assistenza di eccellenza a chi soffre di malattie come la Sla o l’Alzheimer e si trova ad avere una breve aspettativa di vita. «Dal 1998 l’hospice traduce lo spirito originario della Fondazione Roma, fatto di umana e cristiana pietas, nella modernità di un modello assistenziale efficiente e completo – ha spiegato il presidente –. Non è un mero spazio sanitario, ma integra l’assistenza medica, specialistica e di base con un forte approccio umano di compartecipazione alla vita del paziente e alle sue esigenze». Esperti e clinici si sono alternati nell’approfondimento di aspetti poco noti e complessi dell’approccio alle terapie palliative in pazienti affetti da demenza e da malattie neurodegenerative, laddove le informazioni corrette sulla diagnosi e sulla prognosi delle persone senza aspettativa di guarigione devono essere comunicate in modo esaustivo e corretto per consentire di vivere l’inguaribile con una buona qualità di vita. In particolare, Gianlorenzo Scaccabarozzi, vice presidente Commissione nazionale cure palliative e terapia del dolore del ministero della salute, ha evidenziato il faticoso cambiamento dell’organizzazione sanitaria in relazione all’aumento degli anni di vita in condizioni di fragilità estrema, come quella derivante dall’Alzheimer che può perdurare anche 15 o 20 anni. Per Adriana Turriziani, presidente della Società italiana di cure palliative, è necessario avvicinarsi alla terapia in tempi precoci per predisporre percorsi ad hoc. Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione Italiana psicogeriatria, ha ricordato come la crisi della famiglia, spesso mononucleare, e della medicina, spesso solo procedurale, abbiano portato a trattamenti scorretti e un aumento dei costi. Anche per questo, ha evidenziato Julian Hughes, docente di Philosophy of Ageing all’università di Newcastle, la Società europea di cure palliative ha elaborato un "White paper" per suggerire le priorità d’intervento specifiche nei trattamenti delle demenze progressive negli anziani. «La demenza ha un decorso molto lento rispetto al cancro e si cronicizza – ha chiarito Hughes –. Ma oggi, grazie alle cure palliative, abbiamo la concreta possibilità di far vivere meglio i pazienti con queste patologie».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: