sabato 23 marzo 2013
​La Cassazione ha accolto il ricorso di due genitori: se avessero saputo della malformazione del figlio, nato con la spina bifida, avrebbero potuto interrompere la gravidanza. Ma gli esami diagnostici non la evidenziarono.
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​I futuri genitori hanno il diritto di essere informati sulle malformazioni del feto «indipendentemente dalla eventuale maturazione delle condizioni che abilitano la donna a chiedere l’interruzione di gravidanza» e se il medico manca questo adempimento la corte può stabilire un risarcimento del danno. Ribadendo un orientamento già espresso in sentenze precedenti, così si è espressa la terza sezione civile della Cassazione con la sentenza depositata ieri (la n. 7269/13), in cui la Corte ha accolto il ricorso di una coppia il cui figlio è nato affetto da spina bifida. Secondo quanto riportato, la donna durante la gravidanza aveva effettuato alcuni esami per accertare eventuali malformazioni del feto, ma dall’ecografia morfologica non era risultato nulla di anomalo e lei non aveva ritenuto opportuno sottoporsi all’amniocentesi. Il bambino era poi nato con una grave malformazione che aveva portato la donna a citare in giudizio il proprio ginecologo sostenendo che, se fosse stata a conoscenza della patologia, non avrebbe portato a termine la gravidanza. Nel 1997 il giudizio di primo grado aveva condannato il medico a un cospicuo risarcimento, ritenendo che la mancata diagnosi «avesse impedito alla gestante di esercitare il diritto di chiedere l’interruzione di gravidanza» secondo la legge 194. Dieci anni dopo però, la Corte d’Appello di Firenze aveva riformato la sentenza ritenendo che si era sì in presenza di un’inadempienza del medico ma, richiamando la stessa legge 194, «perché possa essere praticata l’interruzione volontaria della gravidanza dopo i primi 90 giorni non è sufficiente che siano accertati processi patologici nel feto, ma è necessario che si determini un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna». E su questo non erano emersi elementi nell’istruttoria, così come «non erano emersi elementi indicativi della concreta volontà della gestante di esercitare il diritto alla interruzione di gravidanza». La Corte di Cassazione ha invece accolto il ricorso della coppia osservando che «non v’ha dubbio che il primo bersaglio dell’inadempimento del medico è il diritto dei genitori di essere informati, al fine, indipendentemente dall’eventuale maturazione delle condizioni che abilitano la donna a chiedere l’interruzione della gravidanza, di prepararsi psicologicamente e, se del caso, anche materialmente, all’arrivo di un figlio menomato». Ma un passaggio in particolare suscita perplessità. Per i giudici di Piazza Cavour, è legittimo per il magistrato «assumere come normale e corrispondente a regolarità causale che la gestante interrompa la gravidanza se informata di gravi malformazioni del feto e conseguentemente di ricondurre al difetto di informazione, come alla sua causa, il mancato esercizio di quella facoltà». Il caso ora torna alla Corte d’Appello di Firenze.
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