mercoledì 11 giugno 2014
Per la Consulta va però riconosciuta la possibilità per gli ex coniugi di accedere a un'unione civile da regolamentare.
Ma quel matrimonio non c'è più di Alberto Gambino
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Il cambio di sesso di uno dei coniugi scioglie il matrimonio. Ma dev’essere possibile per la coppia che lo voglia restare unita sotto altra forma giuridica. Non più matrimonio, dunque, che rimane solo quello eterosessuale, «requisito essenziale per il nostro ordinamento». Ma se entrambi lo chiedono si può «mantenere un rapporto di coppia giuridicamente regolato con un’altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore». Lo ha stabilito la Corte costituzionale accogliendo il ricorso della prima sezione civile della Corte di Cassazione nell’ambito di una causa intentata da una coppia che, a seguito della decisione del marito di cambiare sesso, si era vista annullare automaticamente dall’ufficiale di stato civile il matrimonio. Il Tribunale di Modena aveva accolto il ricorso dei coniugi, ma il verdetto era stato ribaltato dalla Corte d’appello di Bologna. La Cassazione aveva deciso di inviare gli atti alla Corte Costituzionale. Ora la Consulta, confermando quanto già scritto nella sentenza n. 138 del 2010 nella quale aveva di fatto invitato il Parlamento a legiferare in materia di unioni civili anche di coppie omosessuali, ricorda di aver allora precisato «doversi escludere […] che l’aspirazione a tale riconoscimento – che necessariamente postula una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia – possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio».Ora, infatti, dichiarando incostituzionale la norma che prevede lo scioglimento automatico del matrimonio in caso di cambio di sesso di uno dei coniugi, sottolinea in primo luogo di intervenire su «una situazione sul piano fattuale innegabilmente infrequente, ma che, nella vicenda al centro del giudizio principale, si è comunque verificata». Questa, ricorda, riguarda «due coniugi che, nonostante la rettificazione dell’attribuzione di sesso ottenuta da uno di essi, intendano non interrompere la loro vita di coppia» e ciò, precisa ancora, «si pone, evidentemente, fuori dal modello del matrimonio – che, con il venir meno del requisito, per il nostro ordinamento essenziale, della eterosessualità, non può proseguire come tale – ma non è neppure semplicisticamente equiparabile ad una unione di soggetti dello stesso sesso, poiché ciò equivarrebbe a cancellare, sul piano giuridico, un pregresso vissuto, nel cui contesto quella coppia ha maturato reciproci diritti e doveri, anche di rilievo costituzionale, che, seppur non più declinabili all’interno del modello matrimoniale, non sono, per ciò solo, tutti necessariamente sacrificabili».Insomma nessuna apertura al matrimonio tra persone dello stesso sesso ma ancora una volta l’invito al legislatore a trovare soluzioni diverse che garantiscano diritti e doveri. La Corte, infatti ricorda ancora che «la nozione di matrimonio presupposta dal Costituente (cui conferisce tutela il citato art. 29 Cost.) è quella stessa definita dal codice civile del 1942, che "stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso"». La Consulta spiega ancora che non è possibile «una pronuncia manipolativa, che sostituisca il divorzio automatico con un divorzio a domanda, poiché ciò equivarrebbe a rendere possibile il perdurare del vincolo matrimoniale tra soggetti del medesimo sesso, in contrasto con l’art. 29». Ma «sarà, quindi, compito del legislatore introdurre una forma alternativa (e diversa dal matrimonio) che consenta ai due coniugi di evitare il passaggio da uno stato di massima protezione giuridica ad una condizione, su tal piano, di assoluta indeterminatezza. E tal compito il legislatore è chiamato ad assolvere con la massima sollecitudine per superare la rilevata condizione di illegittimità».
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