lunedì 5 dicembre 2016
Ha già due nuovi genitori, in affido preadottivo, Luca, il neonato di Bari con sindrome di Down fatto nascere ma non riconosciuto dai suoi genitori naturali che hanno però voluto dargli un futuro.
Trova famiglia il neonato Down non riconosciuto

ANSA

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Non se la sono sentita di tenerlo con sé. E alla nascita al Policlinico di Bari hanno scelto di non riconoscerlo, donandogli però la vita e la possibilità di trovare una famiglia che lo prenda come figlio. È la toccante storia di Luca – come sempre, in questi casi, un nome di fantasia – affiorata tra cronache non sempre a lieto fine, come fosse un piccolo fiore di speranza, proprio nella Giornata mondiale della disabilità, che lancia ogni anno il messaggio di non scartare le vite più fragili solo perché limitate da qualche difetto genetico, neurologico o fisico. Luca è stato accolto, al contrario di quanto accade a troppi bambini Down per i quali una diagnosi prenatale che individua anche solo una probabilità che siano portatori del cromosoma in più decreta, con la decisione di abortire, la fine certa. Accanto alla culla di Luca nel reparto di Neonatologia, diretto da Nicola Laforgia, sono stati fatti avvicinare due genitori già candidati per un affido pre-adottivo, che stanno prendendo familiarità col piccolo. Un episodio analogo era già accaduto nello stesso ospedale poche settimane fa: in quel caso protagonista era stata una bambina, ribattezzata Eleonora per poterne raccontare la storia di una vita abbandonata ma accolta. Perché la paura di non riuscire a far fronte alla fatica obiettiva di farsi carico di un bambino disabile e del suo futuro, assai enfatizzata da una società che sull’efficienza e l’individualismo ha costruito una vera ideologia alla fine spietatamente selettiva, produce genitori che pensano di non essere all’altezza, di restare soli davanti a un compito immane, e, allo stesso tempo, ne fa nascere altri spesso impediti a generare che invece capiscono come la vita sia più forte, e più bella, di ogni umanissimo timore. Far conoscere meglio e più largamente la possibilità di non riconoscere alla nascita un bambino con problemi di disabilità, facendolo però venire al mondo e aprendolo alla vita insieme ad altri genitori, sarebbe una piccola, vera rivoluzione in un Paese che sembra temere la vita anziché farle largo, comunque essa si presenti. Saper aprire la porta e non porre dal primo istante un’asticella di perfezione fisica da superare diventa il segno di una cultura finalmente tornata in sé: non più il dominio incontrastato di una diagnostica ossessiva in gravidanza per scovare il difetto e rifiutare il prodotto, come se si trattasse di un bene di consumo, ma la capacità di fare posto a chi chiede solo gli venga riconosciuto un diritto: vivere, e mostrare a tutti che ne vale sempre la pena.

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